La vicenda che coinvolge la Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (oggi integrata nell’IRCCS San Gerardo) rappresenta una dolorosa riflessione sulla responsabilità medica e sulle conseguenze devastanti di una diagnosi tardiva.
Il Tribunale civile di Monza ha condannato l’ente a un ingente risarcimento di 4 milioni e 600 mila euro, a testimonianza della gravità dei danni subiti da un giovane paziente, oggi quattordicenne, affetto da una rara malattia metabolica.
La storia del bambino, nato nel 2011, si articola attorno a una condizione – iperammoniemia, causata da un difetto congenito del ciclo dell’urea – che, se tempestivamente riconosciuta e trattata, avrebbe potuto evitare un percorso di sofferenza e disabilità profonda.
La cartella clinica del neonato, fin dalle prime settimane di vita, evidenziava segnali di allarme, con espliciti riferimenti a un rischio metabolico, campanelli d’allarme che, purtroppo, non hanno innescato la risposta diagnostica appropriata.
L’analisi dei periti del Tribunale ha chiarito che il ritardo nella diagnosi – stimato in tre giorni cruciali – ha comportato un danno neurologico irreversibile.
Il bambino, potenzialmente salvabile e destinato a una vita pienamente attiva grazie a una terapia farmacologica somministrata entro le prime 12 ore dall’insorgenza dei sintomi, si è visto condannato a uno stato di invalidità al 100%, con necessità di assistenza continua e un delicato trapianto di fegato, intervento reso imprescindibile dalle conseguenze della malattia non riconosciuta in tempo utile.
Questa sentenza non è soltanto un risarcimento economico per la famiglia, ma un monito per il sistema sanitario.
Evidenzia la necessità di rafforzare la formazione continua dei professionisti, di migliorare i protocolli diagnostici per malattie rare e metaboliche, e di promuovere una cultura della vigilanza e della tempestività nell’interpretazione dei segni clinici.
La vicenda solleva interrogativi fondamentali sulla responsabilità del personale medico, sull’importanza di una comunicazione efficace tra i professionisti e, soprattutto, sul diritto inalienabile di ogni paziente a ricevere cure adeguate e tempestive, soprattutto quando si tratta di soggetti vulnerabili come i neonati.
Il caso rappresenta un tragico esempio di come un ritardo nella diagnosi possa trasformare una condizione potenzialmente gestibile in una condizione invalidante e richiedere interventi a lungo termine, con un impatto profondo sulla qualità della vita del paziente e della sua famiglia.