Tragedia a Torre del Gallo: quattordicesimo suicidio in carcere

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Il carcere di Torre del Gallo, Pavia, si macchia di un’ennesima tragedia: il quattordicesimo decesso per suicidio dal 2021 ad oggi, un dato che squarcia il velo sulla profonda crisi umanitaria e strutturale che affligge il sistema penitenziario italiano.

La notizia, diffusa dal quotidiano La Provincia Pavese, riporta la scomparsa di un giovane detenuto di ventuno anni, di origine nordafricana, un’esistenza spezzata in un contesto di deprivazione e disperazione.

L’episodio solleva interrogativi urgenti sulle condizioni di salute mentale dei detenuti e sull’efficacia dei protocolli di osservazione e assistenza.

Il giovane, recentemente entrato in carcere, presentava evidenti segni di vulnerabilità psicologica, tanto da essere collocato in una sezione dedicata a persone in condizioni di particolare fragilità.
Questa scelta, apparentemente volta a offrire una protezione maggiore, non è riuscita a prevenire la tragedia, suggerendo limiti intrinseci nel modello di assistenza adottato.
Secondo le prime ricostruzioni, il giovane si è tolto la vita approfittando di un momento di minore sorveglianza, utilizzando le lenzuola per strangolarsi.

L’intervento della polizia penitenziaria, seppur tempestivo, non è stato sufficiente a salvare la sua vita.
Il trasferimento d’urgenza al Policlinico San Matteo non ha fatto altro che formalizzare un epilogo ineluttabile.

Questo quattordicesimo suicidio non è un evento isolato, bensì il sintomo più evidente di un sistema penitenziario al collasso.
Sovraffollamento cronico, condizioni igienico-sanitarie precarie, carenza di personale qualificato, scarsa offerta di attività formative e riabilitative, e un tessuto di relazioni sociali interrotte sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono a creare un ambiente tossico per la salute mentale dei detenuti.
La tragedia di Torre del Gallo dovrebbe innescare un dibattito nazionale urgente e profondo sulla riforma del sistema penitenziario, che vada oltre la mera gestione della sicurezza e si concentri sulla dignità umana, sulla riabilitazione e sulla reinserimento sociale.
È necessario un investimento massiccio in risorse umane e finanziarie, una revisione dei criteri di assegnazione alle sezioni di fragilità, un potenziamento delle attività di supporto psicologico e un rafforzamento dei legami con il mondo esterno.
Il silenzio e l’inerzia non sono più ammissibili.

Ogni suicidio è una sconfitta per l’intera società e un monito inequivocabile per un cambiamento radicale.
La memoria di questo giovane uomo, come quella di tutti gli altri che hanno perso la vita dietro le sbarre, deve spingerci ad agire con determinazione e a costruire un sistema penitenziario più umano, giusto e capace di offrire una speranza concreta per il futuro.