sabato 22 Novembre 2025

Ghiacciai alpini: lo scioglimento rivela decenni di inquinamento nascosto.

L’accelerato ritiro dei ghiacciai alpini e appenninici, fenomeno drammatico e inequivocabile sintomo del riscaldamento globale, sta rivelando una problematica ambientale di portata inaspettata: il rilascio massiccio di contaminanti accumulati per decenni sotto la coltre di ghiaccio.
Una ricerca pionieristica, condotta da un team di ricercatori dell’Università Statale di Milano e supportata da One Ocean Foundation e Giorgio Armani spa, ha fornito la prima mappatura dettagliata dello stato di inquinamento dei detriti sopraglaciali, aprendo una finestra cruciale su un ciclo contaminativo spesso trascurato.

Lo studio, pubblicato sugli *Archives of Environmental Contamination and Toxicology*, ha analizzato campioni prelevati da sedici ghiacciai italiani, tra cui l’unico appenninico, il Calderone, tra il 2020 e il 2021.
L’analisi ha rivelato una varietà di inquinanti, sia organici che inorganici, che testimoniano l’impatto antropico accumulato nel tempo.

Questi includono metalli pesanti – come cadmio, mercurio, piombo e zinco – e composti organici persistenti (COPs), quali DDT e PCB, le cui presenze variano significativamente a seconda delle caratteristiche geografiche e antropiche locali.

Ad esempio, l’Ebenferner, situato in provincia di Sondrio, mostra concentrazioni elevate di metalli pesanti, presumibilmente originate da attività industriali e minerarie circostanti.

In altri ghiacciai, come il Preda Rossa, le contaminazioni sembrano essere legate a peculiarità geologiche del sottosuolo, come la presenza di rocce ricche di metalli.
Il ruolo dei depositi eoli, trasportati per lunghe distanze, e la loro successiva deposizione sulle superfici glaciali, rappresenta un ulteriore fattore di complessità nella distribuzione degli inquinanti.
Il processo di scioglimento glaciale, intensificato dal cambiamento climatico, agisce come un rilascio controllato di questi contaminanti.

Acqua di disgelo, cariche di inquinanti, confluiscono nei corsi d’acqua, riversando queste sostanze negli ecosistemi fluviali e, in ultima analisi, negli ambienti marini.

Questo trasferimento non è solo una minaccia per la qualità dell’acqua dolce, ma rappresenta un rischio crescente per la salute degli ecosistemi costieri e per la sicurezza alimentare umana, a causa della bioaccumulazione di sostanze tossiche nella catena alimentare marina.
La metodologia adottata, la raccolta di campioni di detriti sopraglaciali, offre una prospettiva unica e innovativa.
“Questo approccio – spiega Marco Parolini, coordinatore della ricerca – ci permette non solo di quantificare i livelli di contaminazione con precisione, ma anche di decifrare i complessi meccanismi di trasporto, accumulo e rilascio di questi inquinanti all’interno degli ecosistemi.
” Comprendere questi meccanismi è essenziale per sviluppare strategie di mitigazione efficaci.
Il monitoraggio costante e la ricerca di soluzioni integrate rappresentano dunque un imperativo.

Come sottolinea Jan Pachner, segretario generale di One Ocean Foundation, il progetto “Il mare inizia da qui” mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla stretta interconnessione tra le cime montane e gli ambienti marini.
L’acqua, in tutte le sue forme, costituisce un sistema unitario, e le azioni umane che impattano l’ambiente montano hanno conseguenze dirette e spesso imprevedibili sugli ecosistemi costieri.

La salvaguardia del patrimonio glaciale non è solo una questione di conservazione del paesaggio, ma una condizione imprescindibile per la tutela della salute del pianeta e delle generazioni future.

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