L’aria serale di Cadrezzate era densa di una tensione palpabile.
Un blocco stradale improvviso, la presenza imponente delle forze dell’ordine, un segnale inequivocabile che portava il pensiero a una sola, inquietante possibilità: Elia Del Grande era stato rintracciato.
Liana, residente in via Marconi, aveva assistito, incredula, alla drammatica conclusione di una fuga durata due settimane.
La sua testimonianza offre uno sguardo intimo e disorientante sulla vita di quest’uomo, la cui storia si intreccia indissolubilmente con il tessuto sociale di questa piccola comunità varesotta.
La casa in via Marconi, a pochi passi dal profumo inconfondibile del forno di famiglia, è un luogo gravato da un passato oscuro e tragico.
È proprio lì, in quell’abitazione, che Del Grande, nel 1998, aveva commesso un atto di violenza inaudita, strappando la vita ai suoi genitori e al fratello.
Un evento che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva del luogo.
Dopo anni di detenzione, era stato concesso il regime di libertà vigilata, un percorso di reinserimento sociale che sembrava, almeno in apparenza, procedere secondo i piani.
Due anni trascorsi nel Varesotto, un tentativo di ricostruire una vita, apparentemente segnata dalla discrezione e dalla pacatezza.
“Andava al lavoro e tornava a casa.
Non si è mai fatto notare”, ricorda Liana, descrivendo un uomo che si sforzava di cancellare il passato, di confondersi con l’anonimato.
Tuttavia, la fragilità del percorso di riabilitazione si è manifestata con la sospensione del regime di libertà vigilata, un periodo di sei mesi trascorso in una comunità residenziale a causa di ripetute violazioni.
Questa interruzione, questa frattura nel percorso, è stata forse il preludio alla fuga, un atto di disperazione che ha riaperto le ferite del passato.
L’incredulità di Liana risuona con l’amarezza di un’intera comunità.
“Non credevo sarebbe tornato qua”, conclude, esprimendo non solo la sorpresa per il ritorno di Del Grande, ma anche una profonda riflessione sulla complessità della giustizia, della riabilitazione e sulla capacità – o incapacità – di sfuggire al proprio destino.
La vicenda solleva interrogativi inquietanti sulla gestione della libertà vigilata, sulla necessità di un supporto psicologico adeguato e sulla difficoltà di cancellare le ombre del passato, anche quando si tenta di costruire un futuro diverso.
L’arresto, seppur necessario per garantire la sicurezza pubblica, lascia una scia di domande senza risposta e una comunità scossa da un evento che ha riaperto una cicatrice ancora dolorante.









