venerdì 26 Settembre 2025
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Piemonte

Torino, 30.000 in piazza contro gli accordi con Israele

Un’onda di sconcerto e rabbia ha travolto Torino, con trenta mila persone provenienti da ogni provincia piemontese e dalle aree limitrofe – Verbania, Forno Canavese, la Valle di Susa, Pinerolo, Ivrea, Cuneo, Orbassano, Alessandria, Biella, Collegno, Novara, Mondovì, Vercelli, Asti, e molti altri centri – riversandosi nelle strade.

Questa mobilitazione, organizzata dal Coordinamento Torino per Gaza, rappresenta una risposta diretta all’inerzia e all’apparente distanza tra la classe politica regionale e le istanze di pace e giustizia.
Il Coordinamento denuncia con fermezza come le istituzioni, pur investite di un mandato rappresentativo, abbiano dimostrato di anteporre interessi economici e geopolitici alla sensibilità popolare, rifiutando di discutere una mozione volta a sospendere gli accordi economici, scientifici e diplomatici con lo Stato di Israele.

Questa decisione, considerata un tradimento della fiducia popolare, ha contribuito ad accrescere la percezione di un divario incolmabile tra il popolo e i suoi rappresentanti.

Al di là delle responsabilità specifiche del governo Netanyahu, il Coordinamento Torino per Gaza pone l’accento su una critica radicale del sionismo, un sistema ideologico e politico considerato alla radice del conflitto israelo-palestinese e responsabile di una politica di oppressione e disumanizzazione nei confronti del popolo palestinese.
La narrazione dominante, che vede l’azione palestinese come una minaccia alla sicurezza, viene ribaltata: è la resistenza palestinese, con il suo esempio di coraggio e resilienza, a liberare il mondo dall’illusione di un ordine globale basato sulla forza e sull’ingiustizia.

La manifestazione non si esaurisce in una semplice espressione di dissenso.
Si tratta di un atto di solidarietà verso la popolazione di Gaza, evocata attraverso un collegamento con la Flotilla, simbolo di un impegno civile volto a rompere l’assedio e a portare aiuti umanitari.
Viene richiamata l’importanza cruciale dello sciopero generale del 22 settembre, una misura di lotta radicale che mira a paralizzare la filiera bellica che alimenta il conflitto e il genocidio in corso.
La prospettiva è chiara: non si può attendere che siano i governi a interrompere il flusso di armi e risorse che sostengono l’oppressione palestinese.
La responsabilità ricade sulle coscienze individuali e sulla mobilitazione collettiva.
La liberazione della Palestina non è solo un obiettivo politico, ma un imperativo morale, un atto di liberazione per tutti.

La vera forza risiede nella capacità di trasformare la rabbia in azione, di costruire un fronte di resistenza popolare in grado di smantellare le strutture di potere che perpetuano la violenza e l’ingiustizia.

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