martedì 23 Settembre 2025
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Piemonte

Torino infuria: 30 mila in piazza contro Israele e le istituzioni.

Un’onda di sconcerto e rabbia ha travolto Torino, riversando nelle sue vie una folla stimata in trenta mila persone, provenienti da ogni provincia del Piemonte e aree limitrofe.
Un fiume umano, generato da Verbania, Forno Canavese, la Val di Susa, Pinerolo, Ivrea, Cuneo, Orbassano, Alessandria, Biella, Collegno, Novara, Mondovì, Vercelli, Asti, e molti altri centri, si è compattato in un atto di dissenso profondo.
L’evento, promosso dal Coordinamento Torino per Gaza, si configura come un segnale inequivocabile della crescente frattura tra cittadinanza e classe politica.

La denuncia del Coordinamento è precisa: l’inerzia, se non la collusione, delle istituzioni regionali si manifesta nella recente votazione che ha ostacolato una discussione cruciale, la proposta di interrompere accordi economici, scientifici e diplomatici con lo Stato di Israele.

Questo atto, percepito come un tradimento del mandato popolare, alimenta un sentimento di alienazione e sfiducia che si traduce in un’affluenza massiccia alle piazze.
Il Coordinamento Torino per Gaza non si limita a criticare le azioni del governo Netanyahu, ma punta a una critica radicale del sionismo, inteso come ideologia e sistema di potere.
La sofferenza del popolo palestinese è presentata come il prezzo di un sistema globale marcio, plasmato da interessi economici e politici corrotti che mirano alla realizzazione di un progetto espansionistico a costo dell’espropriazione e della sottomissione.
L’atto di resistenza palestinese, quindi, assume una valenza universale: non si tratta di liberare la Palestina, ma di essere liberati da essa, di trarre ispirazione dal suo coraggio di fronte all’oppressione.
La manifestazione si è conclusa con un collegamento simbolico con la Flotilla per Gaza, evocando l’importanza del supporto popolare alla missione umanitaria e ricordando l’imminente sciopero generale del 22 settembre, ritenuto un atto imprescindibile per interrompere la filiera bellica che alimenta il conflitto.
Si sottolinea con forza che, se i governi si dimostrano incapaci o riluttanti a interrompere questa catena di supporto economico e militare, la responsabilità ricade direttamente sulla cittadinanza, chiamata a esercitare la propria forza collettiva attraverso la disobbedienza civile e l’azione diretta.

La fermata del genocidio, dunque, non è una questione di politica istituzionale, ma una sfida etica e una responsabilità condivisa.

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