martedì 9 Settembre 2025
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Piemonte

Cuneo, carcere in tilt: allarme sicurezza e crisi penitenziaria

La recente escalation di violenza nella casa circondariale di Cuneo ha sollevato un’allarmante questione di sicurezza e gestione del sistema penitenziario italiano.
Gli eventi, descritti dall’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (OSAPP), vanno ben oltre episodi isolati di disordine, configurandosi come manifestazioni di una profonda crisi strutturale che mina la funzionalità e la sicurezza stessa dell’istituzione carceraria.
L’accaduto, caratterizzato da atti di vandalismo di significativa portata – la distruzione sistematica di ambienti e attrezzature nella sezione Stura – e da un’aggressione fisica che ha causato gravi lesioni ad un agente penitenziario (con conseguente frattura e prognosi di 30 giorni), evidenzia una progressiva perdita di controllo all’interno del carcere.
La reazione disperata del detenuto, culminata nel tentativo di suicidio sventato solo grazie al pronto intervento delle forze dell’ordine, suggerisce un quadro di profonda sofferenza psicologica, spesso aggravata da condizioni di sovraffollamento, deprivazione sensoriale e mancanza di opportunità di riabilitazione.
L’episodio non è, di fatto, un evento isolato, ma il punto di rottura di una spirale di tensione che affligge il sistema penitenziario nazionale.
La carenza di personale, la precaria formazione degli operatori, la scarsità di risorse dedicate alla mediazione e alla gestione dei conflitti, e l’inadeguatezza delle infrastrutture contribuiscono a creare un ambiente favorevole all’esplosione di violenza e comportamenti devianti.
Le richieste del Segretario Generale dell’OSAPP, Leo Beneduci, rappresentano un grido d’allarme volto a sollecitare un intervento urgente e multidimensionale da parte del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
L’invio di unità di rinforzo, l’applicazione di sanzioni disciplinari esemplari e la definizione di un piano di sicurezza straordinario sono misure immediate e necessarie, ma insufficienti a risolvere il problema alla radice.
Occorre, infatti, ripensare il modello carcerario italiano, orientandolo verso una logica di riabilitazione e reinserimento sociale.

Ciò implica un investimento significativo in programmi di formazione professionale, attività culturali e sportive, e percorsi di sostegno psicologico.
Parallelamente, è fondamentale rafforzare la collaborazione tra le istituzioni penitenziarie, i servizi sociali territoriali e le organizzazioni del terzo settore, al fine di garantire una continuità di cura e di assistenza anche dopo la scarcerazione.

L’ipotesi del coinvolgimento delle Forze Armate, pur comprensibile in un’ottica di emergenza, dovrebbe essere considerata un’ultima ratio, poiché rischia di militarizzare un contesto che richiede un approccio umano e riabilitativo.
La sicurezza del personale penitenziario è imprescindibile, ma non può essere garantita con la sola repressione; è necessario affrontare le cause profonde della violenza carceraria, promuovendo un ambiente di rispetto, dignità e speranza per tutti i detenuti.

La riabilitazione non è solo un diritto dei detenuti, ma un investimento a favore della sicurezza e della convivenza civile.

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