Nel cuore del Verbano-Cusio-Ossola, una vicenda di violenza e dolore si conclude con una sentenza che segna un punto fermo, pur lasciando irrisolti i complessi interrogativi che la generano.
Giancarlo Murroni, 64 anni, è stato condannato a tre anni di reclusione, pena che rispecchia la richiesta avanzata dalla Procura di Verbania, in seguito all’aggressione con acido perpetrata il 28 dicembre nei confronti della sua ex compagna, all’interno del salone da parrucchiera dove lei operava.
Il Giudice per le Indagini Preliminari, Mauro D’Urso, dopo un processo celebrato in abbreviato, ha proceduto a una riqualificazione giuridica significativa degli addebiti contestati.
L’originaria accusa di tentata deformazione dell’aspetto fisico tramite lesioni permanenti, aggravata da premeditazione, dall’utilizzo di sostanze corrosive e dalla particolare vulnerabilità della vittima in ragione del rapporto preesistente, è stata attenuata in tentato danneggiamento fisico di gravità superiore.
Analogamente, la contestazione di stalking è stata riformulata in termini di minacce.
L’iniziale accusa di lesioni aggravate è stata assorbita nelle riqualificazioni superiori.
La decisione giudiziaria evidenzia come, pur nella gravità del gesto, il tribunale abbia ritenuto di non poter accogliere integralmente le accuse più pesanti, sollevando una discussione sul confine tra l’intento lesivo e l’effettivo risultato, e sul ruolo della riqualificazione giuridica nel mitigare la percezione della violenza.
Murroni, già arrestato immediatamente dopo l’aggressione e attualmente agli arresti domiciliari da giugno, è stato condannato a risarcire la vittima con una provvisionale di diecimila euro, di cui quattromila sono stati versati in precedenza.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Marisa Zariani, ha tentato di alleggerire la responsabilità del suo assistito, descrivendo l’episodio come un “momento di follia”, sottolineando il suo rimorso.
Un’interpretazione che, inevitabilmente, contrasta con la sofferenza e il trauma subito dalla donna.
Le analisi forensi hanno rivelato che la sostanza utilizzata era acido cloridrico al 6,5%.
Sebbene la donna non abbia riportato lesioni fisiche permanenti di gravità elevata, il trauma psicologico è profondo e duraturo, testimonianza della brutalità dell’aggressione e del terrore che ha generato.
Questo episodio, oltre a rappresentare una ferita personale per la vittima, solleva interrogativi più ampi sulla spirale della violenza di genere, sulla fragilità delle relazioni sentimentali e sulla necessità di interventi preventivi mirati a contrastare comportamenti aggressivi e a tutelare le vittime.
La sentenza, pur fornendo una risposta giuridica, non può sanare completamente la ferita emotiva e non può cancellare l’ombra di questa vicenda sulla comunità.







