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Piemonte

Verbania, Murroni: Sentenza per aggressione con acido in arrivo

Il tribunale di Verbania si appresta a emettere la sentenza per Giancarlo Murroni, 64 anni, imputato per un efferato tentativo di aggressione con acido, un episodio che ha scosso profondamente la comunità locale.

La Procura, nella richiesta di condanna in abbreviato, ha formulato un’istanza di tre anni di reclusione, una riduzione rispetto alla pena base di quattro anni e sei mesi, tenendo conto della scelta processuale dell’imputato.
Il verdetto è previsto per il 15 ottobre e rappresenta un momento cruciale per comprendere appieno la gravità dei fatti e le motivazioni che hanno condotto a un gesto di tale violenza.
L’accusa, fondata su elementi di prova consistenti, configura un tentativo di deformazione permanente dell’aspetto della persona attraverso lesioni permanenti al viso, un reato particolarmente odioso aggravato da una serie di elementi che ne amplificano la colpevolezza.
La premeditazione, la scelta di utilizzare una sostanza corrosiva – l’acido muriatico – e la specifica scelta della vittima, un’ex convivente, configurano un quadro di atti volti a infliggere un danno non solo fisico, ma anche psicologico e sociale.

A questi si aggiungono accuse di lesioni personali e atti persecutori, che testimoniano un comportamento reiterato e vessatorio nei confronti della donna.
L’aggressione, consumatasi nel dicembre 2024 all’interno di un salone da parrucchiera, ha visto l’imputato utilizzare due contenitori di acido cloridrico, sebbene la concentrazione della sostanza – al 6,5% – abbia fortunatamente impedito la produzione di lesioni fisiche permanenti di grave entità.

Nonostante l’assenza di ferite profonde o invalidanti, il trauma psicologico subito dalla donna è stato significativo, testimoniando la sofferenza emotiva causata da un atto di tale ferocia e la paura generata dalla violazione della sua sicurezza personale.
La scelta del luogo, un ambiente privato e frequentato, sottolinea l’intenzione di colpire la vittima in un momento di vulnerabilità.

La vicenda solleva interrogativi complessi in merito alla dinamica relazionale che ha condotto a un gesto estremo, mettendo in luce la fragilità delle relazioni sentimentali e le conseguenze devastanti che possono derivare dalla gelosia, dalla rabbia e dalla difficoltà di accettare la fine di un rapporto.
L’assenza di una giustificazione plausibile per l’azione perpetrata rende il gesto ancora più incomprensibile e riprovevole.

La parte civile, rappresentata dal difensore della donna, ha avanzato una richiesta di risarcimento danni quantificata in 70.000 euro, un tentativo di riparare, almeno in parte, il danno patrimoniale e non patrimoniale subito dalla vittima.
L’imputato, nel corso della fase preliminare, aveva depositato un assegno da 4.000 euro a titolo di acconto, un gesto che, tuttavia, non può essere considerato una forma di ammissione di colpa o di mitigazione della responsabilità.

La sentenza imminente dovrà tener conto di tutti gli elementi a disposizione, al fine di accertare la responsabilità dell’imputato e di garantire alla vittima la tutela dei propri diritti e la possibilità di ricostruire la propria vita, tormentata da un evento traumatico che ne ha profondamente segnato l’esistenza.

L’episodio, inoltre, ripropone il dibattito sull’importanza di interventi di prevenzione e sostegno alle persone che si trovano in situazioni di fragilità relazionale, al fine di evitare che simili gesti di violenza si ripetano.

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