Nella maestosa Basilica dei Santi Pietro e Paolo, un’oasi di luce e silenzio all’interno del quartiere dell’Eur, si è consumato un rito di addio intriso di profondo dolore e indignazione.
Roma, città che tanto amava, ha accolto Beatrice Bellucci, giovane di vent’anni spezzata brutalmente da un destino implacabile.
Una settimana trascorsa, un istante rubato, e la sua luce si è spenta su via Cristoforo Colombo, vittima di un incidente stradale che ha visto la sua auto falciata da un veicolo sfrecciante, sfidando la prudenza e la legge.
L’arrivo del feretro, avvolto in un candido manto che ne accentuava la fragilità, è stato segnato da un applauso liberatorio, un gesto di commozione collettiva che si è trasformato nel grido lacerante della madre, Teresa, un’eco di disperazione che ha vibrato tra le volte della basilica: “Amore mio, tutta Roma è qui per te”.
L’omelia, officiata da monsignor Giulio Albanese, ha superato la mera consolazione, elevandosi a un monito severo e a un appello pressante.
L’arcivescovo ha affrontato con franchezza la questione della legalità, denunciando l’insensibile rispetto del codice della strada, una piaga che affligge la città e che, troppo spesso, si traduce in tragedie evitabili.
Il suo messaggio è stato rivolto non solo alle istituzioni, chiamate a garantire la sicurezza sulle strade, ma anche a ogni singolo cittadino, invitando a una profonda riflessione sulla responsabilità individuale.
“Come credenti e come cittadini”, ha esortato monsignor Albanese, “siamo chiamati a incarnare il buon esempio, a onorare la sacralità della vita attraverso il rispetto delle regole.
La prevenzione deve essere il nostro faro, la nostra bussola morale.
Nessuno può sottrarsi a questa responsabilità, nessuno può ergersi a spettatore indifferente”.
Il ricordo di Beatrice, una giovane donna descritta come portatrice di un’innata capacità di cogliere il bene, di irradiare positività e di vivere in armonia con il mondo, ha offerto un contrappunto al dolore più sordo.
Si è invocato il Signore affinché trasformi questo momento di profonda sofferenza in un impegno concreto, un motore di cambiamento volto a prevenire il ripetersi di simili tragedie.
Al termine della funzione, il padre, Andrea, ha espresso un commosso tributo alla figlia, celebrando i suoi vent’anni come un dono prezioso, un periodo di luce e di speranza.
La scelta di “Unica” di Lucio D’Amico, una canzone che sottolineava l’unicità e l’irripetibilità di Beatrice, ha aggiunto un tocco di malinconica bellezza al momento del saluto.
La frase spezzata dal pianto di Teresa, “Se sto in piedi è grazie a Bea”, ha incarnato la forza d’animo che la famiglia sta trovando per affrontare questa immane perdita, e la profonda impronta che Beatrice ha lasciato nel cuore di chi l’ha amata.
Il dolore si stempera in un desiderio comune: che la memoria di Beatrice possa ispirare un cambiamento culturale, un impegno collettivo per una città più sicura e rispettosa della vita.






