Un’ombra di incertezza si proietta sul futuro di 1600 beagle, destinati a diventare cavie in sperimentazioni tossicologiche invasive. Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha rinviato, ancora una volta, la decisione cruciale riguardante la legittimità delle autorizzazioni concesse alla società Aptuit, un’azienda di ricerca farmaceutica con sede a Verona. La vicenda, al centro di un acceso contenzioso promosso dalla Lega Antivivisezionista Italiana (LAV), solleva interrogativi profondi sull’etica della sperimentazione animale e sulla protezione del benessere degli esseri senzienti.Il procedimento giudiziario, nato dall’impugnazione delle autorizzazioni che consentivano l’utilizzo dei beagle, ha già portato alla sospensione di due permessi e al sequestro di 51 animali, a causa di gravi accuse di maltrattamento. Questi esemplari sono attualmente affidati a un’associazione animalista in attesa che le indagini proseguano e facciano luce sulle pratiche applicate da Aptuit.Durante l’udienza, la difesa di Aptuit ha presentato una nuova proposta volta a proseguire la ricerca. L’azienda, sostenendo di voler minimizzare l’impatto sulla popolazione canina, suggerisce un approccio “traslazionale”, che prevede l’utilizzo degli stessi animali già sottoposti a test tossicologici, diminuendo il numero totale di cani impiegati, ma intensificando le sperimentazioni su quelli rimanenti. La motivazione addotta per giustificare questa intensificazione è la presunta “moderazione” del dolore a cui gli animali sarebbero esposti.A sostegno della richiesta di Aptuit si erge un’argomentazione che ridimensiona la sofferenza animale, minimizzando la gravità delle procedure invasive. Questa posizione è strenuamente contestata dalle associazioni animaliste, come Leal, che hanno organizzato un presidio sotto la sede del TAR, affiancate da attivisti e cittadini consapevoli. L’intera vicenda non è soltanto una questione di procedure amministrative o di interpretazioni legali. Essa incarna una profonda spaccatura etica. Ridurre gli animali a mere risorse per la ricerca, sminuendo la loro capacità di provare dolore e sofferenza, rappresenta una forma di mercificazione che disconosce il loro valore intrinseco come esseri viventi senzienti. Sottoporre esemplari già provati da trattamenti invasivi a ulteriori sperimentazioni equivale a una condanna a una morte lenta e atroce, negando loro la possibilità di una vita dignitosa. La sospensione delle autorizzazioni, seppur temporanea, è un atto di civiltà, un passo verso un futuro in cui la ricerca scientifica possa perseguire il progresso senza sacrificare il benessere degli animali. La domanda cruciale che il TAR deve affrontare non è solo se le procedure di Aptuit siano conformi alla legge, ma se siano moralmente accettabili in una società che aspira a riconoscere e tutelare i diritti di tutti gli esseri viventi.
Beagle al processo: futuro incerto tra scienza ed etica.
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