Un atto di sfida e provocazione che squarcia il tessuto della memoria romana.
La croce celtica, simbolo di una matrice identitaria complessa e spesso strumentalizzata, è riapparsa imponente nel piazzale antistante la storica sede del Movimento Sociale Italiano, nel quartiere Tuscolano.
Un gesto che va ben al di là della semplice riproduzione di un graffito, configurandosi come una riaffermazione ideologica in un contesto urbano che si ripropone come terreno di scontro.
L’episodio, maturato a ridosso dell’anniversario di eventi che alimentano la retorica dell’estrema destra, riapre una ferita nel dibattito sulla gestione della memoria pubblica e sulla convivenza civile.
Il rituale della riproposizione, compiuto con un’evidente volontà di ostentazione, sottolinea la persistenza di dinamiche di tensione e la difficoltà di sottrarre il quartiere Tuscolano a un’aura di radicalizzazione.
È bene ricordare che, a gennaio 2024, il Municipio VII, guidato dal Partito Democratico, aveva approvato una mozione a favore della rimozione non solo della croce celtica, ma di tutte le scritte vandaliche presenti sul territorio.
Un provvedimento, tuttavia, rimasto in gran parte inattivo, lasciando i graffiti gradualmente sbiaditi dal tempo e dalle intemperie.
La loro riemersione, ora, rivela una fragilità amministrativa e una lacuna nella capacità di contrastare efficacemente il vandalismo ideologico.
La croce celtica, in particolare, è un simbolo che trascende la sua valenza originaria, legata a culture e tradizioni antiche.
Nel linguaggio politico contemporaneo, è stata spesso adottata da movimenti di estrema destra per evocare un’idea di identità nazionale e di radici profonde, distorcendo il suo significato intrinseco.
La sua riproposizione in un luogo carico di storia, come quello di fronte alla sede del MSI, amplifica il messaggio provocatorio e la volontà di rivendicare uno spazio simbolico.
Le parole del segretario del Pd Roma, Enzo Foschi, che definisce l’atto “un fatto inaccettabile” e ne chiede la rimozione, riflettono la preoccupazione di una parte politica che si sente responsabile di garantire la sicurezza e la coesione sociale.
La dichiarazione – “Roma non è e non sarà mai città aperta per i fascisti” – esprime un rifiuto categorico di ogni forma di apologia del fascismo e un impegno a difendere i valori democratici.
L’episodio solleva interrogativi cruciali sulla gestione della memoria pubblica, sull’equilibrio tra libertà di espressione e tutela della sicurezza, e sulla capacità di contrastare la riemersione di ideologie estremiste.
La rimozione del graffito è certamente un atto necessario, ma non sufficiente.
È fondamentale promuovere una cultura della legalità, educare alla responsabilità e rafforzare il dialogo interculturale per prevenire la radicalizzazione e costruire una città più inclusiva e rispettosa delle diversità.
La sfida è quella di trasformare il quartiere Tuscolano, e l’intera città, in un luogo di convivenza pacifica e di crescita civile.