La recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha segnato una svolta nel dibattito riguardante la regolamentazione delle occupazioni di suolo pubblico a Roma Capitale, in particolare per le attività di ristorazione e somministrazione (dehors).
La decisione, che annulla parzialmente una precedente delibera dell’Assemblea Capitolina, riflette una complessa valutazione di bilanciamento tra interessi contrastanti: quelli degli operatori economici, il diritto al godimento delle concessioni esistenti, e quelli della collettività, legati alla fruibilità degli spazi pubblici, alla sicurezza e alla tutela del patrimonio storico-artistico.
La controversia nasce in seguito all’intenzione di Roma Capitale, in vista della scadenza delle disposizioni temporanee OSP-Covid, di riformulare la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico.
Questo tentativo di revisione, motivato dalla volontà di ottimizzare l’uso degli spazi urbani e adeguare le procedure alle nuove esigenze post-emergenza, ha generato un’ondata di contestazioni, sia procedurali che sostanziali, da parte degli esercenti.
Il TAR, accogliendo in parte il ricorso presentato da due concessionari e dichiarando inammissibile la parte sollevata dall’associazione “Roma Più Bella”, ha evidenziato delle lacune nella logica alla base della nuova regolamentazione.
Il punto cruciale della sentenza riguarda l’eliminazione generalizzata delle pedane nelle zone pedonali e, in particolare, nell’area patrimonio UNESCO.
Il Regolamento, in linea di principio, riconosce la pedana come elemento essenziale per garantire la sicurezza degli avventori e facilitare il transito, assicurando una delimitazione chiara e un flusso ordinato.
Tuttavia, i giudici amministrativi hanno ritenuto che l’automatismo dell’eliminazione, senza una valutazione caso per caso, risulti eccessivamente rigido e potenzialmente dannoso.
La pedana, in determinate circostanze, potrebbe essere imprescindibile per la sicurezza, anche in aree pedonali e di particolare pregio storico-artistico, come il Centro Storico.
L’assolutismo della norma, secondo il TAR, non tiene conto della complessità delle situazioni concrete, generando potenziali disparità di trattamento tra gli operatori e limitando in modo irragionevole il diritto di occupazione.
Il TAR suggerisce, pertanto, un approccio più flessibile, basato su una valutazione casistica che permetta all’Amministrazione di individuare soluzioni alternative, meno invasive per il patrimonio storico-culturale, ma comunque idonee a garantire la sicurezza delle installazioni.
Questo implica la possibilità di concedere deroghe o prevedere misure compensative, come l’utilizzo di materiali specifici o l’adozione di soluzioni impiantistiche innovative, a seconda delle peculiarità del luogo e delle esigenze dell’attività.
La sentenza del TAR non solo pone fine a una contesa specifica, ma apre un dibattito più ampio sulla necessità di una regolamentazione più ponderata e partecipata delle occupazioni di suolo pubblico a Roma.
Un approccio che tenga conto non solo delle esigenze economiche degli operatori, ma anche della qualità della vita dei cittadini e della tutela del patrimonio urbano, promuovendo una convivenza armoniosa tra le diverse funzioni che lo spazio pubblico deve assolvere.
La questione della pedana, in questo contesto, si rivela un simbolo della sfida complessa di conciliare sviluppo economico, sicurezza urbana e valorizzazione del patrimonio culturale.