martedì 14 Ottobre 2025
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Minacce ai giornalisti: sentenza Spartacus, un atto di guerra contro la libertà di stampa.

La sentenza della Corte d’Appello di Roma, confermata il 14 luglio scorso, illumina un episodio inquietante di intimidazione nei confronti dei giornalisti Roberto Saviano e Rosaria Capacchione, rivelando la strategia perversa utilizzata dal clan dei Casalesi per silenziare voci scomode.

L’episodio, emerso nel processo di appello “Spartacus” a Napoli, non si limita a una semplice minaccia, ma si configura come una dichiarazione di guerra contro la libertà di stampa, un monito sinistro rivolto a chiunque osi sfidare il potere camorristico.
L’avvocato Michele Santonastaso, durante l’udienza, lesse un atto di rimessione, un documento che divenne il veicolo di un messaggio velenoso, redatto, come evidenziato dai giudici, nell’interesse diretto dei capi storici del clan, Francesco Bidognetti e altri esponenti di spicco.
La lettura pubblica, carica di un’eco deliberatamente amplificata, non fu un errore o una svista; fu un’azione calcolata, volta a trasmettere un avviso inequivocabile a tutta la comunità criminale, ma anche a un pubblico più ampio.
I giudici hanno sottolineato come il tono utilizzato, il risentimento palpabile e le accuse esplicite rivolte ai giornalisti – accusati di influenzare la magistratura e perpetrare ingiustizie – fossero elementi chiave per decifrare l’intento minatorio latente.

Non si trattava semplicemente di criticare il lavoro dei giornalisti; si tentava di screditarli, di delegittimare la loro attività e di creare un clima di paura e intimidazione.
L’importanza del contesto processuale e l’associazione diretta dell’atto alla figura dei capi clan ne rafforzano l’impatto intimidatorio.

Il proclama, lungi dall’essere un’opinione personale dell’avvocato, era la voce diretta del potere camorristico, un segnale chiaro per gli affiliati sul campo: chi si opponesse al clan, chi rivelasse i suoi segreti, sarebbe stato considerato un “nemico” e soggetto a conseguenze dirette.

La gravità dell’episodio risiede proprio in questa capacità di trasformare la libertà di stampa in un bersaglio.

La minaccia implicita non era solo rivolta ai giornalisti specificamente nominati, ma a chiunque aspirasse a perseguire la verità e a denunciare le attività criminali.
La risposta delle autorità, con l’immediato rafforzamento delle misure di protezione per i giornalisti, testimonia la consapevolezza della minaccia concreta e la necessità di salvaguardare un pilastro fondamentale della democrazia.
L’evento rappresenta un campanello d’allarme sulla fragilità della libertà di informazione e sulla necessità di proteggere coloro che si dedicano a essa, spesso a costo di enormi sacrifici personali.

La sentenza non è solo una condanna per i responsabili, ma un monito per la società intera a vigilare sulla salvaguardia dei valori democratici e a non cedere alle intimidazioni di chi cerca di soffocare la verità.

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