Un grido di allarme risuona nel cuore di Roma: Piazza del Popolo si trasforma in un teatro silenzioso, teatro di una battaglia cruciale per il futuro della cura e della dignità umana.
L’azione di Pro Vita e Famiglia Onlus, concretizzata in un suggestivo flash mob, solleva una questione etica e sociale di profonda importanza: la crescente pressione verso la legalizzazione del suicidio assistito e l’eutanasia, e le sue implicazioni per le fasce più vulnerabili della popolazione.
Duecento sedie a rotelle vuote, disposte a terra, simboleggiano la voce di coloro che spesso non la hanno: pazienti affetti da malattie degenerative, anziani soli, persone con disabilità, individui sofferenti di depressione e fragilità esistenziali.
Non sono semplici oggetti, ma rappresentazioni potenti di vite che meritano di essere protette, valorizzate e accompagnate nel percorso della sofferenza.
La loro presenza muta è un monito severo contro la tentazione di offrire “scorciatoie” apparentemente indolori, quando invece si tratta di negare la possibilità di un futuro, per quanto difficile possa essere.
Il dato allarmante è inequivocabile: l’accesso alle cure palliative in Italia è gravemente insufficiente.
Solo il 33% dei potenziali beneficiari riceve l’assistenza necessaria, con disuguaglianze regionali che portano la copertura a livelli vergognosi, a volte inferiori al 5%.
Questa carenza strutturale non è un caso, ma una responsabilità politica che lascia intere famiglie abbandonate al proprio dolore, esponendo i malati a soluzioni drastiche come il suicidio assistito.
La legalizzazione di tale pratica, come sottolineato, si configura quindi non come un atto di compassione, ma come un ricatto criminale, un’ammissione di fallimento del sistema sanitario e sociale.
Le recenti sentenze della Corte Costituzionale, interpretate come un’ingerenza nel ruolo del Parlamento, hanno aperto una pericolosa deriva eutanasica.
Il rischio è quello di una “mattanza di Stato”, un processo in cui le vite delle persone più deboli vengono progressivamente svalutate e considerate un peso, un fardello da eliminare.
Una legge nazionale, in questo contesto, non farebbe altro che legittimare e consolidare questa pericolosa mentalità, creando un precedente inaccettabile che potrebbe erodere i fondamenti stessi del diritto alla vita.
Massimo Gandolfini, leader del Family Day, ribadisce con forza l’opposizione a qualsiasi forma di morte medicalmente assistita, mettendo in guardia contro l’esperienza di altri Paesi, dove l’introduzione di tali pratiche ha portato a un incremento esponenziale dei casi, spesso coinvolgendo giovani affetti da depressione, come testimonia il tragico episodio di Siska in Belgio.
La soluzione, invece, risiede nell’applicazione integrale della Legge 38/2010 e nell’implementazione di un sistema di cure palliative accessibile a tutti, un approccio olistico che affronti non solo il dolore fisico, ma anche quello emotivo e spirituale.
Emanuel Cosmin Stoica, scrittore e attivista disabile, con la sua testimonianza personale, ci ricorda che la tentazione del suicidio può affiorare anche nel momento di maggiore sofferenza.
È proprio in questi istanti che la società ha il dovere di tendere una mano, di offrire sostegno, di promuovere la speranza e l’inclusione.
Investire in assistenza, supporto psicologico, reti sociali e opportunità di partecipazione attiva è l’unico modo per costruire una società veramente umana e solidale, che non abbandoni nessuno al proprio dolore.
La vita, in tutte le sue forme, merita di essere vissuta, accompagnata e valorizzata.







