Un’onda di protesta travolge il Paese: decine di migliaia di studenti scendono in piazza, un’espressione tangibile di scontento e di una visione alternativa per il futuro dell’istruzione.
L’iniziativa, coordinata dall’Unione degli Studenti, Link – Coordinamento Universitario e Rete della Conoscenza, si configura come una mobilitazione nazionale che ambisce a riappropriarsi del significato stesso di scuola e di università pubblica.
Lo slogan “Un’altra scuola, un altro mondo è possibile” non è solo un grido di battaglia, ma una dichiarazione di principi, un invito a ripensare radicalmente le fondamenta del sistema educativo.
Le critiche emerse dalla platea studentesca non si limitano a una mera lamentela, ma si traducono in una denuncia profonda e articolata.
La scuola attuale, percepita come estranea e inadeguata, si rivela un ambiente in cui la didattica e i metodi di valutazione appaiono anacronistici, incapaci di preparare gli studenti alle sfide del mondo del lavoro.
I Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO), lungi dall’essere un’opportunità di crescita, sono vissuti come un meccanismo di preparazione allo sfruttamento lavorativo.
La dicotomia tra l’ingente investimento in armamenti e la difficoltà, per molti, di accedere ai libri di testo, sottolinea una priorità distorta, una profonda disuguaglianza strutturale.
Anche l’università si fa sentire, reagendo a un’azione governativa che le organizzazioni studentesche interpretano come un tentativo di indebolimento e controllo.
Le mosse del Ministero dell’Università e della Ricerca, guidato dalla Ministra Bernini, dal tentativo di inquadramento della Crui per soffocare le voci dissenzienti, alla volontà di sottoporre l’Anvur a una supervisione governativa, passando per un silenzio scomodo sui legami tra il mondo accademico e l’industria bellica, fino alla riforma dell’accesso a Medicina e al continuo sottofinanziamento, rappresentano, a detta degli studenti, una strategia mirata allo smantellamento dell’istituzione pubblica.
La richiesta è chiara: un’università libera da condizionamenti politici, adeguatamente finanziata e orientata al servizio della collettività.
La protesta non si esaurisce in rivendicazioni interne al sistema educativo.
Unanime è la condanna del genocidio in corso a Gaza e la critica alla politica italiana, accusata di complicità attraverso il sostegno alla guerra e l’omertà di fronte ai bombardamenti che colpiscono scuole, ospedali e università.
Questa presa di posizione sottolinea l’impegno degli studenti a non rimanere indifferenti di fronte alle ingiustizie globali.
In un contesto storico segnato da precarietà economica, tagli sociali e mancanza di prospettive, l’allocazione di ingenti risorse al riarmo e alla repressione è percepita come un furto di futuro.
Francesca Cantagallo, coordinatrice della Rete della Conoscenza, evidenzia come ogni euro destinato alla guerra anziché all’istruzione rappresenti una porzione di potenziale umano sottratta.
Difendere la scuola e l’università pubbliche non è quindi un mero atto di conservazione, ma un atto rivoluzionario: la difesa della possibilità stessa di immaginare un futuro diverso, un futuro liberato dalla guerra, dalla disuguaglianza e dallo sfruttamento.
Si tratta di riaffermare il diritto alla conoscenza come motore di cambiamento sociale.







