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Violenza di genere: psicologo forense, una soluzione a rischio?

L’iniziativa legislativa promossa da Fratelli d’Italia, volta a introdurre la figura dello psicologo forense all’interno dei procedimenti penali relativi alla violenza di genere, solleva complesse e significative preoccupazioni.

Lungi dall’essere una soluzione innovativa, l’introduzione di un profilo specialistico esterno rischia di compromettere l’integrità di un ecosistema di interventi e di competenze maturato negli anni con un approccio multidisciplinare.

La violenza contro le donne non può essere ridotta a una questione meramente psicopatologica, suscettibile di diagnosi e interpretazione da parte di un esperto.

Si tratta di un fenomeno criminoso radicato in dinamiche sociali, culturali ed economiche, che richiede un intervento mirato sulla prevenzione, sulla punizione severa e sulla protezione delle vittime.
L’etichettare la violenza come “patologia” rischia di distogliere l’attenzione dalla responsabilità penale dell’aggressore e di minimizzare la gravità del reato.

Come sottolineato da figure competenti nel settore, la priorità assoluta dovrebbe concentrarsi sul potenziamento della formazione specialistica di magistrati, forze dell’ordine e pubblici ministeri, i quali sono direttamente responsabili della tutela delle vittime e dell’applicazione della legge.
Affidare la valutazione di un reato a professionisti esterni – seppur esperti – implica un pericoloso trasferimento di responsabilità che rischia di compromettere l’imparzialità del giudizio e di svuotare di significato il ruolo dei soggetti coinvolti nel sistema giudiziario.

Questa delega potrebbe, in casi limite, portare a decisioni aberranti, come l’affidamento dei figli a padri violentatori, con conseguenze devastanti per le vittime e per i minori coinvolti.

Un approccio efficace richiede un rafforzamento complessivo delle competenze di tutti gli attori coinvolti nella prevenzione del rischio e nella valutazione dei reati.
È fondamentale valorizzare il lavoro di chi, da anni, opera in questo ambito, consolidando standard di analisi e protocolli di intervento riconosciuti per la loro efficacia.

L’expertise già esistente, frutto di anni di ricerca e di esperienza sul campo, deve essere integrata e potenziata, non sostituita da nuove figure non integrate in un quadro organico.
Inoltre, la disomogeneità di genere tra i commentatori e gli esponenti coinvolti nel dibattito pubblico su un tema che riguarda primariamente le donne evidenzia una lacuna significativa nella rappresentanza e nella sensibilità verso le vittime.
Questa assenza di voci femminili nel processo decisionale rischia di perpetuare una cultura di silenzio e di marginalizzazione che ostacola la piena comprensione del fenomeno e l’adozione di misure adeguate.
La necessità urgente non è quella di creare nuove strutture giuridiche che diluiscono la gravità della violenza di genere, ma di garantire protezione immediata e adeguata alle vittime, di implementare programmi di prevenzione efficaci e di responsabilizzare pienamente coloro che hanno il compito di applicare la legge e di tutelare i diritti fondamentali delle donne.

Un approccio olistico, basato sulla formazione continua, sulla collaborazione multidisciplinare e sulla piena partecipazione delle voci femminili, è l’unico strumento capace di contrastare efficacemente la violenza di genere e di garantire una giustizia equa e inclusiva.

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