Danny Boyle, figura carismatica del cinema contemporaneo, ha recentemente offerto una riflessione illuminante durante una masterclass alla Casa del Cinema, in concomitanza con l’imminente uscita di “28 anni dopo”, un thriller horror distopico che segna il suo ritorno al genere post-apocalittico, terreno già esplorato con successo in “28 giorni dopo”. L’evento, patrocinato dalla Fondazione Cinema per Roma e Sony Pictures, ha visto la proiezione in anteprima di ventotto minuti del film, suscitando un vivo interesse da parte del pubblico.Boyle, noto per la sua capacità di mescolare generi e sperimentare con la narrazione, ha parlato con disinvoltura del suo rapporto con il successo e dell’importanza di mantenere un approccio umile e pragmatico nel percorso creativo. L’Oscar ricevuto per la regia de “The Millionaire”, un trofeo che definisce un traguardo cruciale, si è rivelato un oggetto paradossale, più che un simbolo di orgoglio, un monito: “Pensavi di averlo lì per guardarlo, ma è lui a guardarti”. Un’esperienza che lo ha portato a riporlo in una scatola, come a voler attenuare il peso di una consacrazione che, per sua stessa ammissione, svanisce rapidamente.La sua visione del cinema è profondamente radicata in un’esperienza personale iniziata in giovane età, quando, undicenne, scoprì la magia del grande schermo con “La Battaglia dei Giganti” di Ken Annakin, un film che, curiosamente, ispirò George Lucas per la creazione di un personaggio iconico di Star Wars. Tuttavia, l’opera che ha segnato in modo indelebile il suo immaginario è “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, un capolavoro che, come ha rivelato, ha lasciato tracce evidenti nel suo lavoro, in particolare in “28 giorni dopo”.Il successo internazionale, arrivato con “Trainspotting” (1996), ha rappresentato una svolta, insegnandogli l’importanza di rimanere con i piedi per terra e di sfruttare il successo per finanziare progetti futuri. È proprio grazie al trionfo de “The Millionaire” che ha potuto realizzare “127 Ore”, un film basato su una storia vera, un racconto di sopravvivenza che, altrimenti, sarebbe rimasto un’idea non finanziabile.Boyle ha espresso una ferma convinzione riguardo all’importanza del cinema proiettato su grande schermo, un’esperienza collettiva unica che non può essere replicata dai dispositivi digitali. In un’epoca dominata dalla tecnologia e dalla connessione costante attraverso smartphone e piattaforme online, il cinema offre un’occasione di condivisione e immersione che va preservata. Pur apprezzando i blockbuster e la loro capacità di creare connessioni emotive, Boyle ha ribadito di preferire un approccio più indipendente, lontano dalle dinamiche dei grandi studi e dalle pressioni delle star system. L’idea di dirigere un film che ponga il pubblico di fronte a sfide intellettuali, un’opera come “Sinners”, lo attrae profondamente, testimoniando la sua costante ricerca di un cinema che vada oltre l’intrattenimento superficiale.
Boyle a Roma: Cinema, Successo e il Peso dell’Oscar
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