L’ennesimo cessate il fuoco a Gaza, fragile come un cristallo, rivela una scomoda verità: la voce del popolo palestinese continua ad essere soffocata, le decisioni imposte dall’alto, ignorando le loro aspirazioni e il loro dolore.
La regista iraniana in esilio, Sepideh Farsi, testimone diretta di un sistema che silencia le voci pacifiche, denuncia con amarezza la mancanza di rappresentanza e il mancato rilascio di figure come Marwan Barghouti, simbolo di speranza per molti palestinesi.
Il documentario “Put Your Soul On Your Hand And Walk”, che Farsi presenta alla Festa del Cinema di Roma, offre un ritratto intimo e devastante della vita a Gaza durante i mesi di guerra.
Realizzato attraverso un mosaico di videochiamate con la giovane fotoreporter Fatma Hassouna, il film è un atto di memoria e di testimonianza.
La tragica morte di Fatma, uccisa da un drone in un attacco mirato che ha distrutto la sua casa insieme a sei membri della sua famiglia, è un ulteriore simbolo della brutalità del conflitto e della pericolosità del lavoro dei giornalisti nella Striscia.
La sua perdita, avvenuta poche ore dopo l’annuncio dell’ammissione del film a Cannes, amplifica il senso di ingiustizia e la fragilità della speranza.
Farsi sottolinea l’insufficienza e la parzialità del cessate il fuoco, esprimendo una cauta speranza in un futuro di pace, ma senza illusioni.
Le sue testimonianze dirette parlano di bombardamenti che continuano, come dimostra la distruzione ripetuta del palazzo dove Fatma ha perso la vita.
Questi atti distruttivi appaiono come un tentativo di cancellare le prove di crimini di guerra, di occultare un genocidio in atto.
L’emergenza umanitaria rimane grave, con un flusso di aiuti insufficiente – soli 140-150 camion al giorno contro le 600 necessarie – che non riesce a soddisfare i bisogni primari della popolazione.
La storia di Sepideh Farsi è intrinsecamente legata alla lotta per la libertà di espressione.
Cresciuta nell’Iran rivoluzionario, arrestata in giovane età e poi esiliata, la sua esperienza personale la guida nella sua opera cinematografica.
Ha già documentato la repressione in Iran, utilizzando mezzi clandestini per raccontare la realtà che la circondava.
La sua volontà di testimoniare la situazione a Gaza l’ha portata a cercare un contatto sul campo, trovando in Fatma Hassouna una voce straordinaria e un talento innato.
Fatma Hassouna si rivela una figura eccezionale, capace di trasmettere una forza d’animo straordinaria attraverso i suoi sorrisi e la sua empatia.
I suoi scatti, raccolti in un volume fotografico pubblicato in Francia, testimoniano la sua abilità nel cogliere l’essenza della vita quotidiana sotto l’ombra della guerra.
Farsi racconta di aver sempre vissuto con la paura che ogni conversazione potesse essere l’ultima, mantenendo un contatto costante con la madre di Fatma, inviandole messaggi per assicurarsi della sua incolumità.
Il sorriso di Fatma, descritto come un atto di resistenza, di fierezza, a volte nostalgico, a volte triste, era una testimonianza della sua capacità di accogliere la vita nonostante le avversità.
La regista conserva nel cuore i ricordi di ogni conversazione, ma soprattutto quella prima, in cui Fatma, con una semplicità disarmante, esprime il suo orgoglio di essere palestinese e la sua ferma convinzione che il suo popolo non sarebbe mai stato sconfitto, perché non aveva nulla da perdere.
Queste parole, semplici ma profonde, risuonano come un inno alla resilienza e alla speranza, un messaggio che va al di là dei confini geografici e politici.
Il film di Farsi non è solo un documentario, ma un atto di memoria, un tributo a Fatma e a tutte le vittime della guerra, e un appello alla giustizia e alla pace.






