La recente vicenda che coinvolge Zerocalcare, Augias e la decisione di Massimo Giannini di rinunciare alla partecipazione a “Più Libri Più Liberi” solleva interrogativi profondi e urgenti riguardo la convivenza civile, la libertà di espressione e la responsabilità intellettuale in un’epoca di crescenti tensioni ideologiche.
La questione, apparentemente confinata a una polemica letteraria, si rivela specchio di una frattura più ampia che attraversa la società italiana.
Giannini, con la sua dichiarazione, non si limita a esprimere una personale disapprovazione.
Egli denuncia una strategia deliberata e cinica messa in atto da settori della destra politica, una sorta di “free speech a corrente alternata” che si avvale del diritto di parola per veicolare messaggi profondamente inaccettabili, riproponendo rivisitazioni storiografiche negazioniste, celebrazioni di figure controverse e, in ultima analisi, un’ideologia intrisa di intolleranza e discriminazione.
Il riferimento all’America trumpiana non è casuale: esso evidenzia la tendenza a importare modelli di confronto polarizzati e svalutazione del dibattito pubblico, in cui la verità viene sacrificata sull’altare della propaganda e della ricerca di consenso a ogni costo.
La decisione di Giannini non è una questione di “paura”, come potrebbe essere facilmente interpretata, bensì un atto di coerenza culturale e di rispetto verso i principi fondamentali che hanno fondato la Repubblica Italiana.
La Costituzione del ’48, con la sua rigorosa negazione dei totalitarismi e la sua ferma difesa dei diritti umani, rappresenta un patto solenne tra i cittadini, un impegno a costruire una società fondata sulla libertà, l’uguaglianza e la solidarietà.
Abitare lo stesso spazio pubblico con chi, apertamente, nega o mette in discussione questi valori, significa compromettere l’integrità stessa di questo patto.
La vicenda solleva una questione cruciale: fino a che punto è legittimo il diritto di espressione quando questo si traduce in una apologia di idee che negano i principi fondamentali di una democrazia costituzionale? La risposta non è semplice e richiede una riflessione approfondita sulla natura della libertà di parola e sui limiti che questa deve incontrare quando entra in conflitto con la tutela della dignità umana e la salvaguardia dei valori costituzionali.
Non si tratta di censura, ma di esercitare una responsabilità intellettuale che imponga di distinguere tra il diritto di esprimere opinioni, anche impopolari o controverse, e la promozione di ideologie che incitano all’odio e alla discriminazione.
La decisione di Giannini, quindi, non è solo un gesto personale, ma un segnale di allarme, un invito a non cedere alla tentazione di normalizzare l’intolleranza e a difendere con fermezza i valori fondanti della nostra Repubblica.
È un monito a non confondere la libertà di parola con la licenza di offendere e a non rinunciare alla battaglia per una società più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità di ogni individuo.
La sua scelta, al di là della polemica specifica, ci interpella sulla nostra responsabilità collettiva nel proteggere il fragile tessuto della convivenza civile e nel preservare l’eredità di un futuro più libero e democratico.






