04 maggio 2025 – 20:48
Il teatro è un luogo dove le domande sono molte e le risposte poche. E’ questo il motivo per cui mi sono messo nei panni del pubblico, cercando di fornire degli strumenti per trovare delle risposte. Il mio Re Lear non si caratterizza per il tema del potere ma piuttosto della paternità e la possibilità di dare una seconda chance ai padri.Un progetto ambizioso che punta sulla capacità dei linguaggi artistici di decodificare la complessità. Un documentario, Aspettando Re Lear firmato da Alessandro Preziosi e ideato con Tommaso Mattei, sarà presentato dal 5 al 7 maggio al Cinema Farnese di Roma. Proseguirà poi la sua avventura in sale d’essai delle principali città italiane e alcuni festival estivi.Il documentario racconta l’omonimo spettacolo con cui Preziosi ha debuttato a Verona nel 2023, riprendendo il processo creativo dal primo accenno di idea alla messa in scena. Un dialogo costruito con Michelangelo Pistoletto e i suoi quadri specchianti.La contaminazione dei linguaggi – teatro, audiovisivo e arte contemporanea – uniti a un’ambientazione veneziana caotica e apocalittica permettono una reinterpretazione originale della tragedia di Shakespeare. Re Lear è solo un uomo in punto di morte che riflette sulla sua incapacità e sul senso più profondo dell’essere padri e figli.Nell’epilogo del testo shakespeariano c’è il tardivo riconoscersi tra padre e figlio che poi muoiono. In questo adattamento invece ci sono un incontro e la possibilità di una seconda chance nonostante le mancanze dei padri, come spiega Preziosi. Ecco, in questo modo il senso dell’attesa trova speranza.Questo lavoro, che vede al fianco di Preziosi anche Nando Paone, Roberto Manzi, Federica Fresco e Valerio Ameli, riflette sul teatro stesso e lo mostra dal di dentro. È un’indagine profonda sulla paternità e sull’eredità che lasciamo a chi verrà dopo di noi.Dopo la tournée in teatro mi sono reso conto che servivano strumenti per far capire meglio l’uso che lo spettatore voleva fare del nostro spettacolo, prosegue l’attore. Ecco, questo è stato il mio obiettivo e credo di averlo raggiunto grazie al maestro Pistoletto.Come si sono incontrati? Fortuitamente durante una sua mostra – dice – gli ho spiegato il progetto e lui mi ha detto: ‘fai delle mie opere ciò che vuoi’. Oltre ai lavori di Pistoletto, centrali nel documentario sono le scelte di regia con piani sequenza, soggettive, ellissi temporali. Voglio che l’attore guardasse negli occhi lo spettatore.Gli oggetti osservati e l’osservatore entrano sempre in relazione – spiega – le riprese sono fatte sul palco in soggettiva o dalle quinte. Ho corso il rischio di realizzare un lavoro troppo colto e criptico, ma non credo di aver fallito.Attraverso il tuo documentario le mie opere diventano popolari – ha detto Pistoletto – volendo significare che l’arte rende liberi ed è di tutti. Ecco, io voglio rispondere usando le sue parole: nell’arte tutto può diventare qualcos’altro.Un tavolo resta un tavolo ma può rendere più umana una opera. Credo di aver raggiunto il mio obiettivo e che questo sia stato il risultato del rischio che stavo correndo con lo spettacolo. Ho fatto una sorta di perifrasi, desiderio di riscrivere e mettermi nei panni del pubblico.Dopo la legge del Terremoto questo è il suo secondo documentario: si sta preparando a fare un film? In realtà sì, in modo cauto e responsabile. Sto lavorando con la maturità dei film visti e dei documentari fatti.