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martedì, 13 Maggio 2025
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Sofocle: Edipo a Colono, una tragedia che parla al cuore con la voce della compassione

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Nel cuore del Teatro Greco di Siracusa, l’opera d’arte che domina è Edipo a Colono, il terzo capitolo della trilogia tebana di Sofocle, reso vivo da Robert Carsen con una regia che lascia trapelare tutta la drammaticità del testamento teatrale del grande tragediografo ateniese. In questo finale struggente della storia greca, il protagonista, Edipo, non è più l’eroe trionfante che ha risolto l’enigma dell’indovino Tebro, ma un’anima tormentata dalla propria stessa condotta, travolta dal fato e dalle sue scelte. La trasformazione del dolore lo ha marchiato per sempre: un uomo cieco, ormai vecchio e sfiduciato, con la figura spezzata da una vita di errori e sofferenze, che vagabonda tra le rovine della propria grandezza.La scena teatrale si apre su una prospettiva desolante: il protagonista è lasciato solo, al limitare del palco, ai piedi di una grande scalinata su cui sorge un bosco d’ombra, simbolo di un destino che lo attende inesorabile. Quel verde e profondo paesaggio, coronato da alti cipressi come sentinelle misteriose, non è solo un elemento scenografico; rappresenta la meta ultima della disperata ascesa di Edipo, il luogo dove deve fermarsi per intraprendere l’ultimo viaggio. Una meta sacra e solenne che richiama alla memoria il mito antico di Edipo, figlio di Laios e Giocasta, fondatore di Tebe e distruttore della sua stessa famiglia.Questa ultima apparizione del grande eroe è un crescendo di emozioni incontenibili: la figura di Edipo diventa sempre più smorta, quasi una ombra che torna indietro nel tempo per ricercare i segreti e il perdono della propria famiglia. La regia di Carsen sottolinea con efficacia la lacerazione interiore del protagonista attraverso immagini semplici ma inequivocabili: Edipo non è più un sovrano; è un padre, un marito, un figlio che si recherà alle porte della città sacra dove sua madre lo aspetta.Eppure, in questo finale commosso e struggente, c’è una profondità di sentimento che spalanca le porte del mito antico, rivelando il mistero di un destino segnato sin da principio e condotto alle sue ultime conseguenze attraverso la catena degli errori umani. La trasformazione dolorosa dell’uomo divenuto orbo e mendico non è solo una rappresentazione della sconfitta; è anche l’annuncio silenzioso del ritorno alla terra, all’unione con l’anima di sua madre e delle sue stesse radici. È il compimento di un destino che la mano fatale di Zeus ha scritto tra le rovine dorate dell’Olimpo.La visione teatrale del grande tragico ateniese ci offre qui, nel suo ultimo capolavoro, una sfida profonda alla nostra sensibilità umana: ci invita a riflettere sulla condizione di un essere che non solo ha perso la vista fisica ma anche l’orientamento morale. La metafora della cecità è in questo caso più di un semplice simbolo; rappresenta il completo sprofondare nel buio dell’ignoranza, dove le scelte e gli errori divenuti inesorabili hanno segnato la fine del percorso umano.Ecco allora l’Edipo a Colono di Sofocle, un canto funebre alla grandezza caduta, che parla al nostro cuore con la voce della compassione. In questo finale struggente, il grande drammaturgo ateniese ci invita ad ammirare la profondità del sentimento umano e a meditare sulla condizione dell’uomo che percorre senza guida la sua ascesa verso l’oblio.

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