La resilienza, quella forza che permette di rialzarsi dopo una caduta, è una conquista quotidiana, spesso celata dietro sorrisi e apparenze di successo.
Paula Badosa, tennista spagnola di talento e attualmente posizionata al numero 20 del ranking mondiale, incarna questa verità con una vulnerabilità disarmante.
Il suo ritorno alle competizioni, dopo un periodo di stop dovuto a un infortunio subito a Wimbledon, è accompagnato da una confessione significativa: una lotta interiore, un dialogo incessante con sé stessa che rivela un’autocritica severa e un’inclinazione all’autodistruzione.
La sua dichiarazione, rilasciata durante l’intervista al programma “El Larguero”, non si limita a una semplice lamentela.
Essa apre uno spiraglio su una dinamica psicologica complessa, una spirale di pensieri che minano la fiducia e ostacolano la piena realizzazione del potenziale.
La tendenza a sminuire i propri successi, minimizzando una vittoria come un evento prevedibile e scontato, è un meccanismo di difesa perenne, un tentativo, forse inconscio, di proteggersi dalla delusione e dalla possibilità di una sconfitta futura.
Questo approccio, sebbene possa derivare da un’ambizione smisurata o da una pressione esterna elevata, rischia di erodere la motivazione e la gioia intrinseca del gioco.
La tendenza a concentrarsi ossessivamente sugli errori e sulle mancanze, interrogandosi sui motivi di una sconfitta e autocompiacendosi di una performance mediocre, alimenta un senso di inadeguatezza che va ben oltre il campo da tennis.
La confessione di Badosa non è un’eccezione, ma piuttosto un riflesso di una realtà diffusa tra gli atleti di alto livello, e non solo.
La pressione per la performance, l’aspettativa del pubblico, la competizione spietata, possono generare un’autocritica implacabile che ostacola la crescita e il benessere psicologico.
Il valore di questa apertura risiede proprio nella sua capacità di normalizzare la vulnerabilità.
Riconoscere i propri limiti, ammettere di lottare con pensieri negativi, è un atto di coraggio che può ispirare altri a cercare aiuto e a lavorare sulla propria autostima.
Badosa, con la sua confessione, ci ricorda che anche i più grandi campioni sono umani, con le loro fragilità e le loro sfide interiori.
La sua storia è un invito a coltivare l’autocompassione, a celebrare i propri successi senza sminuirli e a imparare dagli errori senza lasciarsi abbattere.
Il percorso verso la resilienza è un viaggio continuo, fatto di consapevolezza, accettazione e, soprattutto, di gentilezza verso se stessi.







