Le recenti suggestioni emerse dall’entorno calcistico internazionale, in particolare quelle legate alla potenziale riorganizzazione dei calendari e all’espansione geografica delle competizioni, stanno generando un acceso dibattito, incarnando una profonda frattura tra visione globalizzante e tutela delle fondamenta del calcio europeo.
Le parole di Javier Tebas, presidente de La Liga, rappresentano una voce autorevole che esprime preoccupazione e resistenza verso proposte che, pur ambendo a una maggiore portata globale, rischiano di compromettere l’equilibrio e la sostenibilità del sistema calcio esistente.
L’idea di un Mondiale disputato in inverno, ad esempio, solleva interrogativi cruciali sull’impatto che una tale modifica avrebbe sui campionati nazionali, pilastri di un ecosistema sportivo complesso e interconnesso.
La programmazione calcistica europea, radicata in un ciclo annuale che si sviluppa dall’agosto al maggio, è intimamente legata a contratti televisivi multimiliardari e a un delicato equilibrio di interessi economici e sportivi.
Una sua alterazione, imposta unilateralmente, provocherebbe onde d’urto significative nel mercato audiovisivo, potenzialmente danneggiando la competitività e l’attrattiva delle leghe nazionali.
Le iniziative per trasferire partite di campionato in altre nazioni, come la partita tra Villareal e Barcellona a Miami e Como-Milan in Australia, pur presentate come strategie di espansione del brand e di conquista di nuovi pubblici, alimentano ulteriori perplessità.
Sebbene l’apertura verso nuovi mercati sia innegabilmente importante per la crescita del calcio, è fondamentale che questa avvenga nel rispetto delle tradizioni e delle esigenze dei tifosi storici.
L’affermazione di Tebas, secondo cui non si tratta primariamente di un progetto finanziario, ma di costruzione di un brand e acquisizione di nuovi sostenitori, non esclude la necessità di un approccio ponderato e partecipativo.
La NFL e la NBA, citate come esempi di successo nella creazione di un brand globale, operano in contesti differenti e con modalità specifiche.
Il calcio, con la sua ricca storia, le sue radici culturali e la sua passione popolare, richiede un approccio più sensibile e attento alle peculiarità del suo patrimonio.
La limitazione a una sola partita all’anno, proposta come compromesso, potrebbe non essere sufficiente a placare le preoccupazioni relative alla diluizione dell’identità calcistica e alla potenziale alienazione dei tifosi affezionati.
La preservazione del valore intrinseco del calcio europeo, con la sua tradizione, la sua competizione e la sua capacità di generare emozioni intense, deve rimanere una priorità assoluta.
L’ambizione di una maggiore globalizzazione non deve tradursi in una perdita di autenticità e in un danno irreparabile alle fondamenta del gioco più bello del mondo.
Un dialogo aperto e costruttivo tra tutte le parti interessate, dalle federazioni nazionali alle leghe professionistiche, è essenziale per garantire che il futuro del calcio sia prospero e sostenibile, nel rispetto delle sue radici e delle sue passioni.