Lassana Diarra, centrocampista francese con una carriera internazionale, ha avviato una complessa battaglia legale contro la FIFA, richiedendo un risarcimento di 65 milioni di euro lordi, 35 netti, una mossa che si inserisce in un contesto giuridico più ampio riguardante i diritti dei calciatori e l’applicazione del diritto dell’Unione Europea nel mondo del calcio.
La richiesta di risarcimento, presentata quasi un anno dopo una cruciale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), evidenzia una profonda riflessione sulla libertà di circolazione e sui limiti imposti dalle normative della FIFA.
La vicenda trae origine dal 2014, quando Diarra, rescindendo unilateralmente il contratto con il club russo Lokomotiv Mosca per approdare allo Charleroi, si trovò a fronteggiare una causa per “mancanza di giusta causa”.
L’esito fu l’obbligo di versare 10.5 milioni di euro al club russo, una penalità che ora, a distanza di anni, viene contestata alla luce delle nuove interpretazioni giuridiche.
Il supporto di FIFPRO, il sindacato mondiale dei calciatori, si rivela fondamentale in questa fase.
Diarra ha optato per la via dei tribunali belgi, un passo successivo a tentativi di mediazione con la FIFA che si sono conclusi senza un accordo.
La lunga battaglia legale, iniziata formalmente nell’agosto del 2014, rappresenta un onere significativo per il giocatore, un fardello che Diarra stesso descrive come una responsabilità condivisa.
La presenza dell’avvocato Dupont, noto per la sua precedente vittoria nel caso Bosman, aggiunge un ulteriore elemento di rilevanza alla vicenda.
Il caso Bosman, che ha rivoluzionato il sistema dei trasferimenti calcistici, ha aperto la strada a interpretazioni più ampie della libera circolazione dei lavoratori, e la sua eco risuona fortemente nella situazione attuale di Diarra.
L’ex centrocampista sottolinea che la sua battaglia non è solo personale, ma ha implicazioni più ampie.
Si tratta di un atto di coraggio a favore dei giovani calciatori, spesso privi delle risorse economiche e psicologiche necessarie per contrastare le decisioni della FIFA.
L’accusa implicita è di una disparità di potere, dove i grandi club e la stessa FIFA sembrano in grado di imporre la loro volontà a discapito dei singoli giocatori.
La mancata volontà della FIFA e della Federcalcio belga di proporre una risoluzione amichevole è interpretata da Diarra come un’espressione di una cultura radicata di disinteresse per lo stato di diritto e per la tutela dei diritti dei giocatori, nonostante le indicazioni chiare provenienti dall’Unione Europea.
Questo episodio solleva interrogativi sulla capacità della FIFA di adattarsi alle evoluzioni giuridiche e di promuovere un ambiente equo e trasparente nel mondo del calcio professionistico.
La vicenda Diarra, quindi, non è solo una disputa legale, ma un campanello d’allarme sulla necessità di un ripensamento profondo dei rapporti di forza e dei principi che governano il calcio moderno.