Dominare una disciplina sportiva significa trascenderla, elevarla a un livello di leggenda. Se nel pugilato l’immagine di Muhammad Alì incarna la ribellione e l’eccellenza, e nel basket Michael Jordan personifica la perfezione atletica e la competizione implacabile, il ciclismo deve il suo stesso mito a un uomo: Eddy Merckx. Non si tratta semplicemente di un campione, ma di un’entità che ha ridefinito i confini del possibile su due ruote.Merckx, soprannominato “Il Cannibale” per la sua insaziabile fame di vittoria, non si limitò a vincere gare; le divorò, le assorbì, ne plasmò il significato. La sua carriera, sviluppatasi negli anni ’60 e ’70, fu una sequenza ininterrotta di trionfi in ogni specialità: dal ciclismo su strada al giro in linea, dalle classiche monumento alle corse a tappe. La sua capacità di eccellere in un ventaglio così ampio di discipline è, di per sé, un fenomeno raro, quasi inspiegabile.Il suo dominio non fu solo quantitativo, ma anche qualitativo. Merckx non era un semplice interprete delle regole; le riscriveva. La sua potenza, la sua resistenza, la sua abilità tattica, la sua capacità di soffrire in salita, la sua freddezza strategica: tutto concorreva a creare un atleta completo, inarrivabile. Sapeva anticipare le mosse degli avversari, sfruttare ogni minima opportunità, gestire le energie in modo impeccabile. La vittoria più iconica, il Giro d’Italia 1964, segnò l’inizio di un’era. A soli 20 anni, Merckx sbaragliò i campioni affermati, dimostrando una forza e un’audacia inaudite. Da quel momento, il ciclismo non fu più lo stesso. La maglia rosa, simbolo del primato, divenne quasi un’appendice del suo corpo.La sua rivalità con altri campioni, come Felice Gimondi e Vittorio Adorni, contribuì ad accendere gli animi e a rendere più spettacolari le corse. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore conflitto, la superiorità di Merckx emergeva inequivocabile. La sua capacità di adattarsi a diverse situazioni, di rispondere alle sfide con una determinazione inesausta, era semplicemente sovrumana.Il “Cannibale” non fu solo un atleta; fu un simbolo di un’epoca, un’incarnazione della forza di volontà e della ricerca incessante della perfezione. La sua influenza sul ciclismo moderno è innegabile: ha ispirato generazioni di ciclisti, ha contribuito a elevare il livello tecnico e atletico della disciplina, e ha lasciato un’eredità indelebile nella storia dello sport. Ancora oggi, il suo nome è sinonimo di dominio, di leggenda, di ciclismo.