L’auspicio di una partita di Serie A trasmessa in chiaro, un’anomalia sempre più rara nel panorama calcistico contemporaneo, solleva interrogativi complessi che vanno ben oltre una semplice trattativa commerciale.
L’affermazione di Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mfe – Media for Europe, durante la recente conferenza stampa di fine anno, ha riacceso un dibattito cruciale: la fruibilità del calcio nazionale per l’intera popolazione.
La trasmissione in chiaro, un tempo pilastro dell’offerta televisiva italiana, rappresenta un bene culturale di inestimabile valore, capace di unificare il Paese attorno a un evento sportivo di massa.
Il calcio, lungi dall’essere mero intrattenimento, è spesso specchio delle dinamiche sociali, economiche e identitarie di una nazione.
Limitare l’accesso a questo spettacolo, relegandolo a piattaforme a pagamento, implica una progressiva esclusione di fasce di popolazione per le quali l’abbonamento rappresenta un onere significativo.
La potenziale trattativa tra Mfe e la Rai, entità con interessi e strategie divergenti, si preannuncia pertanto come un banco di prova delicato.
La Rai, erede di una tradizione di servizio pubblico, incarna l’ideale di un calcio accessibile a tutti, mentre Mfe, nel contesto di un mercato globale sempre più competitivo, è chiamata a massimizzare il ritorno economico dagli investimenti in diritti televisivi.
La questione non si riduce a un semplice calcolo di costi e benefici.
Essa tocca la responsabilità sociale dell’informazione e dell’intrattenimento, la necessità di garantire un accesso equo a beni culturali e lo sviluppo di un senso di appartenenza nazionale.
La trasmissione in chiaro non è solo un servizio di informazione, ma un investimento nella coesione sociale.
L’impossibilità, almeno nell’immediato, di realizzare tale auspicio sottolinea la complessità del quadro negoziale e le sfide strutturali che affliggono il sistema dei diritti televisivi del calcio.
Tuttavia, l’affermazione di Berlusconi, pur intrisa di realismo, lascia intravedere una potenziale apertura al dialogo, un’eventuale ricerca di soluzioni innovative che possano conciliare gli imperativi economici con l’esigenza di preservare un patrimonio culturale di inestimabile valore.
La questione, lungi dall’essere chiusa, rimane aperta, sollecitando una riflessione più ampia sul ruolo del calcio nella società italiana e sulla necessità di garantire un accesso democratico al suo spettacolo.





