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sabato 8 Novembre 2025

Mazzola a 93 anni: ricordi, rimpianti e amore per il calcio.

A novantatré anni, Sandro Mazzola conserva intatta la capacità di provare commozione di fronte alla passione per il calcio e all’impegno dei giovani talenti.

In una recente intervista a Donatella Scarnati, pubblicata su Vivo Azzurro TV nel giorno del suo compleanno, Mazzola ripercorre un percorso di vita segnato da una perdita precoce e da un amore viscerale per il pallone, un sentimento che ha plasmato la sua identità.
La sua infanzia fu brutalmente interrotta dalla tragedia di Superga, quando aveva solo sei anni.

Il ricordo di quel giorno, un velo di silenzio e abbracci enigmatici, è ancora vivido.

Crescendo a Cassano d’Adda, il paese natale del padre Valentino, la passione per il calcio si radicò profondamente, diventando un rifugio e una forma di espressione.

Il pallone era una presenza costante, quasi un compagno segreto, talvolta nascosto per sfuggire alle attenzioni dei nonni.

L’ambizione di diventare un calciatore di successo non era presente nella sua mente, ma piuttosto un umile riconoscimento del talento, sempre accompagnato dal pensiero del padre perduto.

A individuare le sue straordinarie doti fu Benito Lorenzi, storico nerazzurro e compagno di squadra di Valentino Mazzola, un mentore che anticipò il suo potenziale.
L’ingresso nelle giovanili dell’Inter, poi l’esordio in prima squadra sotto la guida di Helenio Herrera, segnarono l’inizio di una leggendaria carriera.
Mazzola divenne rapidamente un’icona del club, un simbolo di dedizione e talento, incarnando i valori e le ambizioni dell’Inter.
I trionfi conquistati – due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e quattro scudetti – non furono solo riconoscimenti sportivi, ma espressioni tangibili di un legame profondo con quei colori, diventati parte integrante della sua identità.
Le tentazioni provenienti da Juventus e Milan, squadre rivali, si infransero contro un’incompatibilità emotiva insormontabile.
Indossare una maglia non nerazzurra avrebbe significato tradire un sentimento radicato, un dolore fisico che avrebbe compromesso le sue prestazioni.
La fedeltà all’Inter trascendeva il mero aspetto contrattuale, rappresentava un imperativo morale.

Anche con la Nazionale, il rapporto fu intenso e complesso, culminando con il trionfo agli Europei del 1968.
L’episodio della staffetta con Gianni Rivera ai Mondiali di Messico ’70, inizialmente percepito come una forzatura esterna, si trasformò in un elemento catalizzatore.

La competizione, anziché creare antagonismo, stimolò entrambi i giocatori a superarsi, elevando il livello del gioco e contribuendo a una performance collettiva eccezionale.
La frustrazione di quell’epoca si risolse in una maggiore determinazione, in una sete di miglioramento che portò a risultati straordinari.
Quel Mondiale, a suo avviso, fu un’esperienza straordinaria, un concentrato di emozioni e di talento che superò ogni aspettativa.

Mazzola rivela anche la filosofia che ha guidato il suo percorso: “Ho sempre cercato di fare di più”.

Il vero calciatore, secondo lui, non si rivela al pubblico con gesti eclatanti, ma ai compagni di squadra e agli avversari, dimostrando concretamente le proprie capacità.

Nonostante una carriera costellata di successi, è rimasto un rimpianto: non aver avuto l’opportunità di allenare la Nazionale, di plasmare un gruppo di giocatori secondo la propria visione tattica e filosofica.

Un desiderio inespresso, un capitolo mancato in una vita dedicata al calcio.

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