L’eliminazione precoce di Lorenzo Musetti a Wimbledon, contro il georgiano Nikoloz Basilashvili, si è materializzata non solo come una delusione sportiva, ma anche come l’amara conseguenza di un percorso di recupero interrotto e complicato da un inatteso malessere fisico. Il giovane tennista, con la schiettezza che lo contraddistingue, ha descritto la sua performance come quella di un “zombie”, un’immagine potente che evoca un corpo provato, un’energia esaurita e una resa quasi inevitabile.Il racconto del percorso di preparazione rivela una cronologia di eventi sfortunati. L’infortunio subito a Parigi aveva imposto un periodo di riposo relativo, costringendo Musetti a una riabilitazione statica, limitata alla mera cura della lesione. Questo tentativo di accelerare il recupero, sebbene necessario, ha forse compromesso la ricostruzione completa della sua forma fisica, creando una fragilità latente. L’irruzione di un virus intestinale, un ulteriore colpo al suo organismo già affaticato, ha amplificato ulteriormente la sua vulnerabilità, erodendo le sue riserve energetiche e compromettendo la sua capacità di competizione al livello più alto.L’autovalutazione di Musetti è impietosa: “Mi sembrava di essere uno zombie in campo.” Questa metafora non si riferisce semplicemente a una sensazione di stanchezza, ma a una perdita di connessione con il gioco, una difficoltà a reagire, a prendere decisioni rapide e a esprimere il suo potenziale. La sua onestà è encomiabile, poiché ammette di aver sentito pesare enormemente la fatica, soprattutto dopo la perdita del terzo set, momento cruciale che ha segnato un crollo psicologico e fisico.Il rimpianto per la palla break sul 4 pari nel terzo set emerge come un “se” doloroso, una potenziale svolta che avrebbe potuto alterare il corso della partita. Musetti ipotizza che, avendo conquistato il vantaggio di due set a uno, Basilashvili avrebbe potuto essere lui a subire la pressione. Tuttavia, con la lucidità del giocatore provato, riconosce che, nelle sue condizioni fisiche, andare avanti sarebbe stato quasi impossibile. La sconfitta, al di là della delusione personale, solleva interrogativi sulla gestione del recupero e sull’importanza di ascoltare i segnali del corpo. Il rispetto per l’avversario, Nikoloz Basilashvili, emerge come un gesto sportivo di correttezza, sottolineando che la sua vittoria è meritata, frutto di una condizione atletica superiore in quel preciso momento. L’episodio rappresenta un monito: il successo nel tennis, come in ogni disciplina, dipende non solo dal talento, ma anche dalla resilienza fisica e dalla capacità di adattarsi alle avversità.