L’addio di Claudio Ranieri alla potenziale panchina della Nazionale Italiana non è una semplice questione di convenienza, ma incarna una riflessione più ampia sulla natura del ruolo di commissario tecnico e sulle dinamiche del calcio moderno.
La sua decisione, espressa in un’intervista al TG3 Rai, ha risvegliato un dibattito latente sulle limitazioni imposte dalla compresenza di incarichi plurimi e sulla necessità di una completa autonomia per chi guida una squadra nazionale.
Ranieri, con la sua onestà disarmante, ha esplicitato un vincolo ineludibile: un contratto professionale già attivo con l’AS Roma.
Accettare l’offerta della Federazione avrebbe significato, di fatto, lacerare un impegno contrattuale, generando implicazioni legali ed etiche inaccettabili.
Ma al di là di questa immediatezza pratica, il rifiuto pone una questione cruciale: la libertà d’azione del commissario tecnico.
Una guida efficace della Nazionale non può essere costretta da vincoli derivanti da altri impegni.
La costruzione di un progetto vincente richiede la possibilità di osservare i campionati con occhio critico, individuare talenti emergenti, valutare le condizioni fisiche dei giocatori e, soprattutto, selezionare la rosa ideale senza il condizionamento di interessi contrapposti.
La responsabilità di scegliere, di orientare, di plasmare una squadra nazionale deve essere assoluta, svincolata da qualsiasi forma di commesse o influenze esterne.
L’esperienza di Ranieri, un navigato stratega capace di successi in patria e all’estero, sottolinea un problema strutturale del sistema calcio italiano.
La pressione economica, le esigenze di calendario e le logiche di mercato spesso portano a una frammentazione degli incarichi, rendendo difficile per un allenatore dedicarsi completamente alla Nazionale.
La sua dichiarazione, lungi dall’essere una semplice giustificazione, si configura come un appello a una riorganizzazione del ruolo di commissario tecnico, auspicando un profilo professionale libero di assumere decisioni autonome, animato da una visione chiara e coerente del futuro della squadra azzurra.
Un profilo, insomma, capace di incarnare non solo la competenza tecnica, ma anche la libertà di pensiero e d’azione, elementi imprescindibili per affrontare le sfide sempre più complesse del panorama calcistico internazionale.
La Federcalcio, di fronte a questo rifiuto, si trova ora di fronte a un’opportunità di riflessione profonda, per ridefinire il profilo ideale del suo prossimo allenatore e per garantire alla Nazionale la guida che merita.