lunedì 6 Ottobre 2025
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Varvara, tredicenne ucraina, danza per la pace: un messaggio dal PalaTiziano.

Sui tavolati del PalaTiziano, a Roma, la danza si rivela una lingua universale, capace di trascendere barriere linguistiche e culturali.
In questo scenario, ogni movimento, ogni passo, si configura come un frammento di narrazione, un’eco di esperienze umane profonde.

È il caso di Varvara Hrushanina, una giovane promessa dell’arte coreutica ucraina, tredicenne, che compete agli Internazionali di danza sportiva.

La sua performance non è solo un esercizio di tecnica e grazia, ma un vivido racconto di resilienza, un canto di speranza nato dalle ceneri del conflitto.

La danza per Varvara è un’ancora, un rifugio che affonda le sue radici nell’infanzia.

Ha iniziato a muovere i primi passi sulla pista da bambina, a soli quattro anni, quando la musica e il ritmo la avvolgevano in un abbraccio di gioia e spensieratezza.

La danza era per lei un linguaggio naturale, un modo per esprimere emozioni che andavano oltre le parole.

Ma la serenità di quell’infanzia venne brutalmente interrotta.

Quando aveva dieci anni, la sua vita fu sconvolta dall’orrore della guerra.

La sua città, Dnipro, un importante centro industriale e logistico, si ritrovò tragicamente sotto i colpi dell’invasione russa.

Le bombe dilaniarono le strade, le case, i sogni.

La paura e l’incertezza divennero compagne costanti.

La decisione di fuggire divenne una necessità impellente, un atto di sopravvivenza per lei e per la sua famiglia.
L’esilio, la perdita della terra natale, lo strappo alle proprie radici, hanno lasciato un segno indelebile nel suo animo.

Ma la danza, quel linguaggio che l’aveva sempre accompagnata, si è rivelata un balsamo per le ferite dell’anima.
È attraverso la coreografia, attraverso l’armonia di passi e movimenti, che Varvara trova la forza di elaborare il trauma, di trasformare il dolore in espressione artistica.
La sua danza non è solo tecnica impeccabile, ma è anche un inno alla vita, una testimonianza della capacità umana di superare le avversità.
Ogni salto, ogni giro, ogni arabesque, raccontano la storia di una bambina che ha visto la guerra, che ha perso tutto, ma che non ha perso la speranza.

La sua performance diventa un messaggio potente: la cultura, l’arte, la bellezza, sono strumenti essenziali per ricostruire un futuro di pace, per curare le ferite aperte dalla violenza e per preservare la memoria di chi non c’è più.

È un messaggio che risuona nel PalaTiziano, toccando il cuore del pubblico e invitando a riflettere sulla fragilità della pace e sulla necessità di proteggerla con ogni mezzo.
La sua danza è un atto di resistenza, un faro di speranza in un mondo segnato da conflitti.

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