L’irriverente disappunto di Inaki Williams, capitano dell’Athletic Bilbao, risuona come un’eco di un crescente malcontento nel panorama calcistico spagnolo.
La disputa della Supercoppa di Spagna in Arabia Saudita, un evento che si è consolidato nel tempo come parte di un accordo commerciale significativo, è al centro delle sue critiche, espresse con franchezza durante un’intervista a ‘El Chiringuito TV’.
La decisione di ospitare la competizione, che vedrà l’Athletic Bilbao affrontare il Barcellona in semifinale (7 gennaio), con il Real Madrid e l’Atletico Madrid a contendersi l’altra finale (8 gennaio), solleva interrogativi complessi che vanno ben oltre la semplice logistica.
Per Williams, l’esperienza si traduce in una sostanziale partita in trasferta.
La distanza geografica, l’esorbitanza dei costi di viaggio e la difficoltà di accesso per i tifosi biancorossi trasformano un evento sportivo in un ostacolo per la comunità di appassionati.
Ma la critica di Williams non si limita a un dispiacere puramente calcistico.
Al di là della complessità organizzativa, si intrecciano questioni personali e familiari di profonda rilevanza.
La sua dichiarazione, carica di emotività, rivela una vulnerabilità inaspettata e una riflessione amara.
La moglie, incinta e prossima al parto, lo costringe a bilanciare il suo impegno professionale con le responsabilità paterne e coniugali.
La sua assenza in un momento così delicato rappresenta un sacrificio personale gravido di significato.
La scelta di disputare la Supercoppa in Arabia Saudita, da sei anni, non è priva di controversie.
Oltre alle critiche di Williams, si discute apertamente dell’impatto sull’immagine del calcio spagnolo, delle implicazioni etiche legate al rispetto dei diritti umani nel paese ospitante e della perdita di identità che una competizione “esportata” comporta.
L’accordo commerciale, pur generando introiti significativi, sembra in questo modo incrinare un rapporto di fiducia tra club, giocatori e tifosi.
Williams, con la sua franchezza, non si limita a esprimere un fastidio momentaneo, ma solleva un dibattito più ampio sulla globalizzazione del calcio, i suoi costi umani e la necessità di trovare un equilibrio tra opportunità economiche e valori fondamentali.
La sua posizione, benché personale, risuona come un grido di allarme, invitando a una riflessione profonda sul futuro del calcio spagnolo e sulla sua capacità di rimanere fedele alle proprie radici.
La sua disponibilità a giocare, pur tra mille difficoltà, testimonia il suo attaccamento all’Athletic Bilbao, ma non ne attenua la durezza delle sue parole, che rappresentano un monito per chi detiene le redini del calcio moderno.





