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Il macabro palcoscenico di una madre: la confessione di Lorena Venier.

La confessione di Lorena Venier si dispiega come un macabro palcoscenico, un’autobiografia della disperazione inscenata con la fredda precisione di chi, sopraffatto da un dolore insopportabile, cerca di trasformarlo in una sequenza ordinata, quasi scientifica.

La ricostruzione degli eventi, esposta prima al pubblico ministero e poi al giudice per le indagini preliminari, rivela un quadro agghiacciante di un atto estremo, culminato in una manipolazione del corpo del figlio Alessandro che rasenta l’inconcepibile.
Il “depezzamento”, come lo definisce la stessa Venier, non fu un’azione impulsiva, ma un’esecuzione metodica, compiuta con l’ausilio di un seghetto – strumento che evoca immagini di chirurgia, di dissezione, di controllo – e di un lenzuolo, un tentativo misero e tragico di contenere la violenza dell’atto e il riversarsi del sangue, simbolo di vita perduta e di un legame spezzato.
La divisione del corpo in tre parti suggerisce una frammentazione non solo fisica, ma anche psicologica, un tentativo di scomporre un dolore che sembrava insostenibile in elementi gestibili, anche se questo significava disumanizzare profondamente l’essere amato.
L’assenza di “schizzi”, l’ordine apparente con cui i carabinieri trovarono la scena, non sono il frutto del caso, ma la diretta conseguenza di una volontà di controllo, di una ricerca disperata di un ordine che la tragedia aveva distrutto.
Lorena Venier, nel suo racconto, si pone come regista di un dramma in cui lei stessa è protagonista e carnefice.

L’intervento di Mailyn, relegato al mero spostamento dei frammenti corporei all’autorimessa, assume un significato inquietante.
Non è un atto di complicità attiva, ma piuttosto un’esclusione, una separazione ancora più profonda dal dolore più lacerante, quello di compiere l’atto finale.

Mailyn, confinata a un ruolo passivo, rappresenta forse l’impossibilità di condividere un dolore così abissale, un fardello troppo pesante per essere sostenuto da chiunque.
La confessione di Lorena Venier non è solo una ricostruzione di fatti, ma una finestra aperta sull’abisso della mente umana, un tentativo di dare un senso a un atto incomprensibile, un grido silenzioso di una madre dilaniata dal dolore e dalla disperazione, un dolore che l’ha portata a compiere l’impensabile e a narrare, con una fredda lucidità, la sua macabra opera.

Resta un interrogativo aperto: cosa ha portato una madre a tanto? Quale catena di eventi, quale profonda sofferenza ha generato un simile atto di violenza e disperazione? La risposta, forse, si cela nelle profondità dell’animo umano, un luogo oscuro e inesplorato dove la ragione cede il passo all’istinto, e l’amore si trasforma in un macabro atto di distruzione.

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