Il processo relativo all’aggressione al giornalista de *La Stampa*, Andrea Joly, ha visto oggi la pubblica accusa formulare una richiesta di condanna a un anno di reclusione per quattro esponenti del movimento Casapound, coinvolti nell’episodio verificatosi il 20 luglio 2024 in via Cellini, a Torino.
La vicenda, che ha riacceso il dibattito sulla libertà di stampa e i limiti dell’azione giornalistica in contesti sociali potenzialmente conflittuali, ruota attorno alla registrazione effettuata dal giornalista durante una manifestazione del circolo Asso di Bastoni.
Secondo l’inchiesta condotta dalla Digos, il cronista, pur non avendo esplicitamente dichiarato la sua professione, stava documentando con mezzi video l’evento, caratterizzato da cori e fuochi d’artificio, quando è stato circondato e percosso da più individui.
L’azione, che ha portato al rinvio a giudizio dei quattro imputati con l’accusa di lesioni aggravate, solleva interrogativi complessi riguardo la percezione della figura del giornalista e la tutela della sua attività informativa, specialmente in aree dove tensioni politiche e sociali possono sfociare in episodi di violenza.
Durante l’udienza odierna, uno degli imputati ha tentato di fornire una giustificazione alla sua condotta, sostenendo di essersi avvicinato al giornalista per proteggere la figlia minorenne, che si trovava nelle sue immediate vicinanze, preoccupato per l’inquadratura che la coinvolgeva.
Questa testimonianza introduce un elemento significativo: la presunta mancanza di consapevolezza dell’identità professionale dell’uomo registrato, suggerendo che l’aggressione sarebbe stata evitata se il giornalista si fosse qualificato.
L’imputato ha inoltre evocato una narrazione di persecuzioni subite dal movimento Casapound, dipingendo l’episodio come una reazione a tentativi di delegittimazione politica.
Questa affermazione, sebbene non scusi l’atto violento, apre un dibattito più ampio sulla strumentalizzazione percepita dei media e la polarizzazione del discorso pubblico.
La difesa dei quattro imputati ha richiesto l’assoluzione, argomentando, implicitamente, che la condotta dei loro assistiti non fosse animata da intenzioni aggressive o pregiudizievoli, e che l’aggressione possa essere stata frutto di un errore di valutazione o di un’esasperazione innescata da una situazione percepita come minacciosa.
La vicenda sottolinea la delicata linea di confine tra la libertà di cronaca, il diritto alla privacy e la sicurezza individuale, e l’importanza di garantire un ambiente in cui i giornalisti possano svolgere il loro lavoro in sicurezza e senza timore di ritorsioni, contribuendo così a un dibattito pubblico informato e plurale.
La sentenza, attesa nelle prossime udienze, sarà un momento cruciale per definire i limiti di questa complessa dinamica e per ribadire il valore della libertà di stampa come pilastro fondamentale di una società democratica.







