La sentenza del maxi processo ‘Bigliettopoli’, emessa dal Tribunale di Torino, solleva un interrogativo cruciale per la trasparenza e l’integrità del sistema amministrativo italiano: la prassi, ampiamente diffusa, di offrire regali a pubblici ufficiali in cambio di favori o autorizzazioni. L’episodio che ha visto Giulio Muttoni, ex-dirigente di Set Up Live, riconosciuto colpevole di corruzione, sebbene prescritta, rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più ampio e radicato.La vicenda, legata a un concerto di Tiziano Ferro, ha visto la consegna di biglietti omaggio e promesse di assunzione a funzionari del Corpo dei Vigili del Fuoco e della Prefettura, figure chiave per il rilascio di autorizzazioni necessarie per l’organizzazione di eventi. Sebbene per altri diciassette episodi analoghi sia intervenuta assoluzione per mancanza di prova del nesso diretto tra i beneficiari e l’adozione di decisioni favorevoli, la sentenza si concentra sulla critica profonda e sistematica della prassi stessa.I giudici, con rigore costituzionale, ribadiscono che l’esercizio delle funzioni pubbliche non può essere contaminato da pratiche di scambio. La Costituzione italiana sancisce l’imparzialità e l’obbligo di astensione da richieste o accettazioni di utilità per i pubblici dipendenti, principio rafforzato da successive normative come il decreto legislativo del 2001 e il “codice di comportamento” del 2013. La sentenza non si limita a una condanna specifica, ma si eleva a riflessione storica, ripercorrendo le radici di questa usanza, fino alla “sportula” dell’Impero Romano, istituzione che trasformò il dono ai funzionari in una sorta di estorsione sociale. Questa evoluzione storica contrasta nettamente con i principi fondamentali della Repubblica democratica, fondata sulla parità di accesso alla giustizia amministrativa e sulla responsabilità dei funzionari nei confronti della collettività.Un elemento particolarmente illuminante è la testimonianza di Muttoni stesso, la cui schiettezza, riconosciuta dai giudici, rivela la difficoltà di rifiutare tali offerte e, implicitamente, la pressione esercitata da dinamiche consolidate nel tessuto amministrativo. Le sue parole, “Guardi che è anche difficile dire di no, maresciallo…” e “Se volete provo a non dare più biglietti alla Commissione di vigilanza per tre mesi e vediamo cosa succede: secondo me non facciamo più concerti”, denunciano una sorta di tacito accordo che compromette l’autonomia decisionale dei funzionari e crea una distorsione del mercato.La sentenza del Tribunale di Torino non si esaurisce in un mero atto di accusa, ma si traduce in un appello urgente e inequivocabile: è necessaria una revisione radicale delle norme interne agli enti pubblici e delle politiche aziendali che, in modo esplicito o implicito, consentono o tollerano la pratica dei regali ai pubblici ufficiali. Questa revisione deve mirare ad eradicare un comportamento che erode la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e mina i principi fondamentali di legalità, trasparenza e imparzialità che devono contraddistinguere l’azione della Pubblica Amministrazione.
Bigliettopoli: Regali alla PA, un’ombra dall’Impero Romano
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