Cosa Indossavi? La Mostra Contro la Colpa delle Vittime

“Cosa indossavi?”, una domanda corrosiva, un’eco distorta della colpa, si materializza come titolo di una mostra potente e necessaria.

L’iniziativa di Amnesty International, giunta a Torino, affronta con crudo realismo il problema della violenza di genere e la conseguente vittimizzazione secondaria che ne consegue, un fardello spesso più pesante della ferita stessa.

Nata da un progetto universitario americano del 2013, l’esposizione trascende la mera esposizione di oggetti.

Attraverso i vestiti – simboli tangibili di identità, scelte personali, momenti di vita – vengono riassemblate le storie spezzate di donne vittime di aggressioni sessuali.

Non si tratta di una cronaca di eventi, ma di un tentativo di restituzione della dignità, di riconoscimento della sofferenza, di amplificazione delle voci silenziate.
La mostra smaschera un pregiudizio insidioso e profondamente radicato nella società: l’assurda credenza che la responsabilità di un’aggressione ricada sulla vittima, a causa del suo abbigliamento.

L’implicazione è chiara: se avesse indossato ‘altro’, se fosse stata più ‘prudente’, avrebbe potuto evitare la violenza.

Questa narrativa distorta scarica la colpa sull’aggredita, proteggendo l’aggressore e perpetuando un ciclo di impunità.
L’iniziativa, visitabile a Torino dal 19 al 28 novembre nella Sala delle Colonne di Palazzo Civico, si propone di decostruire questo meccanismo distorto.
Offre un’occasione per la riflessione, per l’empatia, per la presa di coscienza collettiva.
È un atto di resistenza contro una cultura che, troppo spesso, minimizza o giustifica la violenza sessuale.

La mostra si integra con la campagna #IoLoChiedo, un messaggio chiaro e inequivocabile: il sesso senza consenso è stupro.

L’iniziativa, sostenuta dalla presidenza del consiglio comunale e dalla consulta femminile, si colloca all’interno della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un monito costante per una società più giusta e sicura, dove la responsabilità ricada unicamente su chi compie l’atto violento.

Più che una mostra, un appello a un cambiamento culturale profondo, che riconosca la centralità del consenso e la necessità di proteggere le vittime, liberandole dal peso della colpa e del giudizio.

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