L’episodio di violenza verificatosi a Cuneo, nel giugno 2023, solleva questioni complesse e delicate riguardanti l’interpretazione giuridica di atti di aggressione motivati da omofobia.
Un pubblico ministero, durante l’udienza preliminare, ha richiesto una condanna per l’imputato, un uomo di 27 anni residente a Fossano, ma ha espresso riserve nell’applicare l’aggravante prevista per i reati discriminatori, nonostante la gravità delle offese verbali e fisiche subite dalla vittima.
L’aggressione si è consumata in pieno centro cittadino, in un contesto di socializzazione e divertimento.
La vittima, insieme ad un amico e due amiche, stava celebrando un compleanno quando l’imputato ha reagito con violenza, culminata in un pugno che ha causato una frattura alla clavicola, un trauma cranico e una prognosi prolungata per il giovane.
La ferocia dell’atto è stata mitigata solo dall’intervento del gruppo di amici, che tuttavia non ha evitato che una delle ragazze subisse a sua volta insulti pesanti, inclusi termini denigratori con connotazione sessuale.
Fu proprio la ragazza a fornire agli inquirenti elementi cruciali per l’identificazione dell’aggressore.
La decisione del pm di non invocare l’aggravante per discriminazione, pur riconoscendo la deplorevolezza dei fatti, ha suscitato un dibattito interpretativo.
L’azione del pm si è basata sulla constatazione che l’aggressione, pur alimentata da pregiudizi, fosse prevalsa come manifestazione di una volontà generalizzata di prevaricare, una forma di aggressività che si manifesta in diverse circostanze, non necessariamente riconducibile a un movente specificatamente omofobo.
La difesa dell’imputato ha seguito una linea simile, definendo gli insulti come “di comune utilizzo”, minimizzandone l’impatto discriminatorio.
In contrasto, l’avvocato della parte civile ha insistito sulla natura omofoba dell’aggressione, richiedendo un risarcimento economico di quindici mila euro per i danni subiti.
Questo caso mette in luce la difficoltà di definire con precisione i confini tra un atto di violenza motivato da pregiudizi e un gesto di pura aggressività.
La sentenza, attesa nei prossimi giorni, si preannuncia cruciale per stabilire se l’aggravante per discriminazione sia applicabile in questo contesto specifico e per chiarire l’interpretazione della legge in materia di reati d’odio.
L’episodio, al di là della decisione giudiziaria, rappresenta un monito sulla necessità di contrastare ogni forma di intolleranza e di promuovere una cultura del rispetto e dell’inclusione nella società.
La gravità della frattura alla clavicola e del trauma cranico subito dalla vittima, unitamente alle offese verbali, testimoniano la profonda ferita causata da un gesto intollerabile che ha segnato un momento di paura e di violenza in una comunità.