La recente sentenza del Tribunale d’Appello di Torino, che ha annullato il decreto di espulsione a carico dell’imam Mohamed Shahin, ha generato forte disappunto presso il Ministero dell’Interno.
Fonti vicine al Viminale confermano un’attenta valutazione della possibilità di presentare ricorso in Cassazione, al fine di tutelare le motivazioni che avevano portato alla decisione di espulsione, firmata dal Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.
La vicenda, che si è intrecciata con la negazione della cittadinanza italiana a Shahin nel corso del 2023, ruota attorno a complesse questioni di sicurezza nazionale, interpretazione della libertà di espressione e applicazione delle norme sull’immigrazione.
L’espulsione, originariamente disposta, si basava su un insieme di elementi che il Ministero riteneva gravissimi.
Tra questi, le dichiarazioni pronunciate dall’imam durante una manifestazione a sostegno della Palestina, percepite dal Ministro Piantedosi come una forma di apologia dell’attentato del 7 ottobre.
L’interpretazione di tali dichiarazioni, che solleva interrogativi sull’equilibrio tra la tutela della libertà di manifestazione del pensiero e la prevenzione di incitamento all’odio e alla violenza, rappresenta un nodo cruciale del dibattito giuridico.
Parallelamente, l’azione del Ministero si è basata su presunti collegamenti di Shahin con individui ritenuti rappresentanti di potenziali minacce alla sicurezza nazionale.
La sussistenza e la rilevanza di tali collegamenti, elemento che si presta a interpretazioni differenti e richiede una rigorosa verifica delle prove, costituiscono un altro pilastro della decisione di espulsione.
La difficoltà di stabilire con certezza il grado di coinvolgimento e la natura del rapporto tra l’imam e le persone considerate pericolose rappresenta una sfida per l’amministrazione.
Il ricorso alla Corte di Cassazione si prospetta come un’opportunità per il Ministero di approfondire l’analisi di tali elementi, sottolineando la ragionevolezza e la proporzionalità del provvedimento espulsivo alla luce del quadro normativo vigente e degli obblighi di tutela della sicurezza pubblica.
La vicenda solleva interrogativi fondamentali sul ruolo del governo nella gestione dei flussi migratori, la libertà religiosa e l’interpretazione delle leggi in un contesto internazionale sempre più complesso e sensibile a dinamiche geopolitiche e culturali.
La decisione finale della Corte di Cassazione avrà implicazioni significative non solo per l’imam Shahin, ma anche per la definizione dei confini dell’azione amministrativa in materia di sicurezza e immigrazione.






