La mera inasprimento delle pene per i femminicidi, pur rappresentando un segnale di forte disapprovazione sociale e un potenziale deterrente, non costituisce di per sé una soluzione efficace per contrastare questo fenomeno strutturale e profondamente radicato nella cultura patriarcale.
Tale affermazione, emersa durante l’audizione del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Cesare Parodi, alla Commissione Giustizia della Camera, solleva interrogativi cruciali sull’approccio complessivo adottato per affrontare la violenza di genere.
L’efficacia di qualsiasi provvedimento legislativo, in questo contesto specifico, è intrinsecamente legata alla sua capacità di innescare un cambiamento culturale più ampio.
Aumentare le pene, senza parallelamente investire in un’educazione alla parità di genere, in programmi di sensibilizzazione rivolti a giovani uomini e donne, e in un sostegno economico e psicologico robusto per le vittime, rischia di essere una misura puramente simbolica, priva di impatto reale sulla riduzione dei femminicidi.
La ratio alla base della riflessione di Parodi si fonda sull’analisi del diverso calcolo che accomuna il potenziale autore di un crimine contro il patrimonio e quello perpetratore di femminicidio.
Nel primo caso, l’individuo potrebbe soppesare il rischio di una pena detentiva considerevole rispetto al guadagno derivante dal reato.
Nel secondo, la dinamica psicologica e le motivazioni che sottendono l’atto violento sono spesso complesse e irrazionali, radicati in logiche di controllo, possessività e dominio, che trascendono la mera valutazione della pena.
Il ddl ‘femminicidio’, sebbene miri ad inasprire le pene e a garantire procedure giudiziarie più rapide e tutelanti per le vittime, deve essere interpretato come un tassello all’interno di una strategia più ampia e articolata.
È necessario un impegno concreto per:* Promuovere l’educazione alla parità di genere: fin dalla prima infanzia, educare i giovani a riconoscere e contrastare gli stereotipi di genere, a promuovere relazioni basate sul rispetto reciproco e sulla non-violenza.
* Sviluppare programmi di sensibilizzazione: indirizzati sia agli uomini che alle donne, per promuovere una cultura del rispetto, dell’empatia e della responsabilità.
* Rafforzare i servizi di supporto alle vittime: offrendo assistenza legale, psicologica, economica e abitativa, garantendo la loro protezione e la loro autonomia.
* Formare gli operatori della giustizia: magistrati, forze dell’ordine, avvocati, psicologi, per garantire una gestione più efficace e specializzata dei casi di violenza di genere.
* Monitorare e valutare l’impatto delle misure adottate: per apportare eventuali correzioni e migliorare l’efficacia delle politiche di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
In definitiva, la lotta contro il femminicidio non può essere delegata esclusivamente al potere giudiziario.
Richiede un impegno condiviso e coordinato da parte di tutte le istituzioni, della società civile e di ogni singolo individuo, per costruire una cultura del rispetto, della parità e della non-violenza.
La legge può essere uno strumento importante, ma è la cultura che deve cambiare per sradicare le radici profonde di questo drammatico fenomeno.







