L’osservazione del Cardinale Repole, formulata durante la celebrazione di San Giovanni, patrono di Torino, solleva una problematica strutturale che affligge l’economia locale, riflettendo però dinamiche più ampie a livello nazionale ed europeo. Si tratta di un’anomalia che potrebbe essere definita, con una certa approssimazione, “iper-liberalismo stagnante”, un ossimoro che descrive la paradossale combinazione di un rigore di mercato teorico con la conseguente immobilizzazione di capitali e la paralisi dell’innovazione.L’accumulo ingente di liquidità nelle banche da parte di famiglie proprietarie di rilevanti patrimoni non è semplicemente un fenomeno finanziario; è il sintomo di una profonda sfiducia nel potenziale di crescita dell’economia reale. Questa reticenza all’investimento, lungi dall’essere una scelta razionale dal punto di vista puramente finanziario, può essere interpretata come un segnale di una perdita di fiducia nelle istituzioni, nelle politiche industriali e, in ultima analisi, nel futuro del territorio.Questo “iper-liberalismo stagnante” non è l’iper-liberalismo che promuove la competizione, l’efficienza e la creazione di ricchezza. È un’iper-liberalismo distorto, che paradossalmente, attraverso la sua stessa rigidità, soffoca l’iniziativa imprenditoriale e ostacola la diffusione di nuove opportunità. La conseguente mancanza di investimenti limita la capacità delle imprese di innovare, di creare posti di lavoro e di competere a livello globale.L’affermazione del Cardinale Repole riguardo alla “merceabilizzazione” del lavoro merita particolare attenzione. In un contesto di stagnazione economica e di precarietà lavorativa, la forza lavoro viene ridotta a un mero fattore di costo, depotenziando la dignità del lavoro e aumentando le disuguaglianze sociali. La mancanza di investimenti limita la formazione e l’aggiornamento delle competenze, perpetuando un circolo vizioso di bassi salari e scarsa produttività.Questo fenomeno non è isolato nel contesto torinese, ma riflette una più ampia tendenza a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, con conseguenze negative per la crescita economica e la coesione sociale. Per invertire questa tendenza, sarebbe necessario un intervento corale che coinvolga istituzioni pubbliche, settore privato e società civile. Politiche fiscali più eque, incentivi all’innovazione e alla creazione di impresa, e un rinnovato impegno per la formazione professionale potrebbero contribuire a stimolare la crescita economica e a ridurre le disuguaglianze. È cruciale, inoltre, promuovere una cultura dell’investimento responsabile, che consideri non solo il ritorno finanziario, ma anche l’impatto sociale e ambientale delle proprie azioni. Solo attraverso un approccio integrato e lungimirante sarà possibile superare questa fase di immobilizzazione e costruire un futuro più prospero e inclusivo per Torino e per l’Italia intera. La sfida è complessa, ma l’urgenza di un cambiamento strutturale è innegabile.
Iper-liberalismo stagnante: la sfida per Torino e l’Italia.
Pubblicato il
