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Torino

Mensa e Dignità: la Prova Shock dal Carcere di Torino

La denuncia che emerge dalla casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, sollevata dall’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp), non è semplicemente una questione di alimentazione insufficiente.

È il sintomo di una frattura profonda, un’espressione tangibile di una disparità di trattamento che riflette un’organizzazione interna in squilibrio.

La mensa, anziché essere un punto di ristoro e un fattore di benessere per il personale, si rivela uno specchio deformante della gerarchia e delle priorità istituzionali.
L’episodio descritto – un banchetto sontuoso in occasione di un convegno, in netto contrasto con la quotidianità di pasti frugali e di dubbia qualità – non è un’anomalia, bensì un’illustrazione drammatica di una norma distorta.
Si evince una logica paradossale: l’attenzione e le risorse vengono allocate in relazione alla presenza di figure esterne, di “ospiti illustri”, mentre chi svolge il lavoro quotidiano, chi garantisce la sicurezza e l’ordine all’interno dell’istituto, viene relegato a una condizione di marginalità e di inferiorità.
La segreteria regionale dell’Osapp non si limita a denunciare la scarsa qualità del cibo, ma evidenzia una più ampia problematica di riconoscimento e di valorizzazione del personale.

Il riferimento a “luoghi maleodoranti”, “turni massacranti” e una popolazione detenuta percepita come “spavalda e che spadroneggia” dipinge un quadro di condizioni di lavoro estremamente difficili e stressanti, aggravate dalla sensazione di essere trattati come “comparse”, come elementi trasparenti e insignificanti all’interno di un sistema.

Questa disparità non è solo una questione di benessere materiale, ma tocca temi più profondi come il rispetto, la dignità del lavoro e il senso di appartenenza.
La sensazione di essere “invisibili”, di essere considerati secondi rispetto a chi, pur non partecipando attivamente alla gestione dell’istituto, ne usufruisce di benefici, mina il morale, genera frustrazione e può compromettere la performance lavorativa.

La richiesta finale dell’Osapp – “qualcuno si ricordi che anche noi mangiamo” – assume così una valenza simbolica: è un appello alla riconcettualizzazione delle priorità, un invito a riconoscere che il personale penitenziario non è un mero ingranaggio in una macchina burocratica, ma persone con bisogni, diritti e un ruolo fondamentale nel sistema giudiziario.
La dignità del lavoro, l’equità del trattamento e il benessere del personale devono diventare elementi imprescindibili, non un’opzione riservata agli eventi speciali.

La riforma della gestione della mensa, quindi, diventa metafora di una riforma più ampia, volta a riequilibrare le dinamiche interne e a restituire al personale penitenziario il riconoscimento e il rispetto che merita.

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