Nel cuore delle Langhe, a poco più di mille metri di altitudine, si erge Pragudin, una borgata cuneese che sussurra storie di un passato dimenticato.
Michael Willemsen, l’unico custode di questa oasi alpina dal 2017, ha annunciato l’intenzione di cederne la proprietà, un atto dettato non da un desiderio di cambiamento personale, ma dalla consapevolezza di una sfida insostenibile.
Willemsen, archeologo belga di formazione, giunse a Pragudin otto anni fa con l’ambizione di restaurare una dimora che definì “eremo”, un rifugio carico di storia e potenziale.
Da allora, ha sapientemente documentato la vita in borgata attraverso la pagina Instagram “Storie da Pragudin”, che vanta una comunità di oltre diecimila follower, testimoni virtuali della sua avventura.
L’annuncio di vendita non è un gesto impulsivo, bensì il riconoscimento di un peso economico e logistico divenuto insopportabile per una sola persona.
Willemsen lamenta l’assenza di supporto da parte delle istituzioni, nonostante le loro promesse di “valorizzazione” delle aree montane.
La realtà, per chi come lui sceglie di abitare queste terre, si traduce in un isolamento aggravato dall’indifferenza, se non da un ostacolo attivo.
La proprietà in vendita, una casa indipendente arredata di 65 metri quadrati, è offerta a 150.000 euro, prezzo trattabile.
Tuttavia, l’acquirente non sarà scelto a casaccio.
Willemsen ha inserito una clausola vincolante nell’atto di compravendita: il nuovo proprietario dovrà iscriversi come residente e stabilirsi permanentemente a Pragudin. L’uso della casa come residenza secondaria, destinata solo a brevi periodi di vacanza, comporterà una penale.
Questa decisione, definita dallo stesso Willemsen “ingena”, riflette una profonda preoccupazione per il futuro della borgata.
Non vuole che Pragudin, dopo la sua partenza, diventi semplicemente un’altra proprietà abbandonata per gran parte dell’anno, un simbolo di un’opportunità mancata.
Piuttosto, aspira a lasciare una “scintilla di continuità,” un seme per una nuova vita in Pragudin. Si tratta di un tentativo disperato di trasformare una speranza, una visione di resilienza e di comunità, in una realtà tangibile.
La vendita, dunque, non è una resa, ma una scommessa sul futuro, un appello a chi desidera veramente abbracciare la sfida di ricostruire e rivitalizzare un angolo di Piemonte dimenticato.
È un atto di fiducia nell’uomo, nella sua capacità di creare e mantenere viva l’eredità di un luogo carico di storia e di bellezza.






