L’esito del recente referendum sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, con la sua chiara indicazione di voler preservare l’unità delle carriere magistratili, impone ora un’urgenza di riflessione e di intervento sul Codice di Procedura Penale.
Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, lo ha sottolineato durante il Congresso Nazionale Forense, evidenziando come la preservazione di un giusto processo sia un imperativo imprescindibile, soprattutto alla luce delle mutate circostanze.
Il fulcro della questione risiede nel degrado progressivo del contraddittorio, pilastro fondamentale del processo equo e trasparente.
Non si tratta di una regressione recente, ma di un processo sedimentato attraverso una serie di modifiche legislative che, sommandosi, hanno alterato la sua essenza.
Queste modifiche, sebbene spesso motivate da intenti apparentemente positivi – come l’accelerazione dei tempi processuali o la maggiore efficienza – hanno in realtà eroso le garanzie procedurali, introducendo elementi di distorsione e favorendo una narrazione unilaterale dei fatti.
L’erosione del contraddittorio non è un mero tecnicismo giuridico; incide profondamente sul diritto alla difesa, sulla presunzione di innocenza e, in ultima analisi, sulla fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia.
Il rischio concreto è quello di assistere al ritorno a un modello processuale incentrato prevalentemente sulla documentazione scritta, dove le argomentazioni delle parti vengono filtrate attraverso una lente interpretativa che ne limita la piena espressione.
Non si può negare, in questo scenario, l’eco di modelli processuali storici, sebbene l’iperbole di paragonarli ai tempi dell’Inquisizione possa risultare eccessiva, rimane però significativa l’analogia con una procedura opaca e priva di un’effettiva dialettica tra le parti.
La separazione delle carriere, come espressamente voluta dal voto popolare, introduce una nuova complessità e un’opportunità.
La revisione del Codice di Procedura Penale deve quindi mirare a ripristinare la centralità del contraddittorio, non come un mero formalismo da espletare, ma come un vero e proprio confronto dialettico tra le parti, con la piena partecipazione del giudice, garante dell’imparzialità e della correttezza del processo.
Questo intervento non si limita a una mera rimodulazione di articoli specifici; richiede una revisione concettuale del ruolo del giudice, della funzione delle prove e del peso delle argomentazioni.
Si tratta di recuperare un modello processuale che valorizzi l’oralità, che promuova la trasparenza e che assicuri a ogni parte la possibilità di far valere le proprie ragioni in condizioni di parità.
Solo così sarà possibile evitare che la giustizia, un pilastro fondamentale dello Stato democratico, si trasformi in un meccanismo autoreferenziale e privo di credibilità.
La sfida, ora, è quella di tradurre questa consapevolezza in azioni concrete, consapevoli che la riforma del processo penale è un investimento a lungo termine per la tutela dei diritti e la salvaguardia della legalità.