La fissazione del referendum sulla riforma della giustizia è un momento cruciale per la democrazia italiana, e la sua corretta tempistica non può essere oggetto di accelerazioni affrettate o manipolazioni.
Il comitato promotore del ‘No’, guidato dal prof.
Enrico Grosso, con lucidità e rigore costituzionale, sottolinea l’importanza di rispettare i parametri stabiliti dalla legge fondamentale.
L’urgenza percepita dal governo, che sembra voler anticipare la data, contrasta con la necessità imprescindibile di garantire ai cittadini un’informazione completa, ponderata e distaccata.
L’esigenza di una campagna referendaria seria non è un mero desiderio, ma un dovere verso la cittadinanza.
Un referendum, per sua natura, coinvolge scelte di profonda rilevanza per il futuro del Paese, e pertanto richiede un dibattito pubblico ampio e approfondito.
Privare i cittadini del tempo necessario per comprendere le implicazioni della riforma, valutare le diverse posizioni e formarsi un’opinione autonoma significa svilire la loro partecipazione democratica e compromettere la legittimità del risultato.
Il dettato costituzionale, con la sua rigorosa disciplina temporale, non è un ostacolo alla volontà popolare, bensì un baluardo a difesa della sua espressione consapevole.
La scadenza del 30 gennaio 2026, che inibisce l’indizione di qualsiasi referendum, non è una mera questione tecnica, ma la diretta conseguenza del principio costituzionale che impone un intervallo minimo tra la richiesta e l’indizione del voto.
Questo intervallo, fissato in tre mesi, consente la verifica formale delle richieste di referendum, la possibilità per altri soggetti di presentare richieste concorrenti – come quella di 500.000 elettori o di cinque consigli regionali – e, soprattutto, offre il tempo necessario per un’informazione pubblica esaustiva.
Il prof.
Grosso, in qualità di esperto di diritto costituzionale, evidenzia come la fretta del governo rischia di bypassare questi passaggi cruciali, penalizzando la qualità del dibattito e limitando la partecipazione attiva dei cittadini.
Un referendum indetto prematuramente, in assenza di un’adeguata informazione e di un confronto aperto, sarebbe un referendum impoverito, un voto basato su elementi parziali o distorti, un’occasione persa per rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La richiesta del comitato ‘No’ non è un tentativo di procrastinare il voto, ma un appello al rispetto dei principi costituzionali e alla tutela del diritto dei cittadini a una democrazia pienamente partecipata.
Un referendum degno di tale nome deve essere il frutto di un processo trasparente, ponderato e inclusivo, e il tempo, in questo contesto, è un elemento essenziale per garantirne la validità e la legittimità.
Ritardare, in questo caso, significa proteggere la sostanza, non la forma.






