Il fenomeno del revenge porn, lungi dall’essere un atto isolato o una semplice espressione di impulsività individuale, si rivela un intricato prodotto culturale, una sorta di ‘valuta sociale’ nel contesto delle relazioni di genere.
Una ricerca condotta dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, pubblicata sulla prestigiosa rivista *Psychology of Men e Masculinities*, svela come l’adesione a modelli di mascolinità dominante sia significativamente correlata alla diffusione online non consensuale di immagini o video intimi femminili tra giovani uomini eterosessuali.
Lo studio, frutto di un’analisi sistematica di diciannove articoli scientifici internazionali provenienti da diverse banche dati accademiche (APA PsycInfo, APA PsycArticles, Gender Studies Database, Scopus e Web of Science), non si limita a descrivere il fenomeno, ma ne decostruisce le radici culturali.
Le autrici, Elisa Berlin e Chiara Rollero, mettono in luce come la circolazione di materiali intimi non consenzienti non rappresenti una deviazione, bensì una manifestazione di dinamiche di potere complesse e radicate.
Questi materiali vengono spesso percepiti e trattati come simboli di possesso, trofei che attestano una presunta conquista sessuale, alimentando così gerarchie sociali distorte e perpetuando l’idea problematica del corpo femminile come risorsa collettiva disponibile all’uso maschile.
Questa dinamica tossica si accompagna, spesso, a un linguaggio apertamente misogino, a pratiche di “slut-shaming” e a una svalutazione sistematica del consenso femminile, evidenziando come la sessualizzazione delle donne sia funzionale al mantenimento di un’identità maschile costruita sull’oggettivazione e sulla dominazione.
La condivisione di immagini intime, anche in forma passiva tramite la semplice visione, integra un circuito omosociale dove la discussione esplicita della sessualità eterosessuale funge da rituale di iniziazione e di rafforzamento dei legami maschili, escludendo e marginalizzando le donne.
Mostrare empatia verso le vittime, paradossalmente, può essere interpretato come un segno di debolezza, una minaccia allo status di “virilità” che si basa sull’indifferenza o sulla derisione del dolore altrui.
Il risultato non è solo una questione di comportamenti isolati, ma un problema strutturale che affonda le sue radici in una cultura che normalizza l’oggettivazione e la svalutazione delle donne.
La ricerca di Berlin e Rollero sottolinea l’urgenza di sviluppare programmi educativi mirati, capaci di affrontare criticamente il legame tra mascolinità, potere e sessualità nell’era digitale.
Questi interventi non dovrebbero limitarsi alla sensibilizzazione sulle conseguenze legali, ma promuovere una profonda riflessione sulle norme sociali che alimentano la cultura della violenza di genere e incoraggiare la costruzione di identità maschili basate sul rispetto, l’empatia e il consenso.
È necessario, in definitiva, decostruire i modelli di mascolinità tossica che rendono la condivisione non consensuale di immagini intime un rito di passaggio o un modo per affermare la propria virilità.






