Una luce di speranza si accende nella lotta contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa progressiva e finora priva di cure definitive.
Un consorzio internazionale di ricercatori, guidato dal professor Adriano Chiò, Direttore della Neurologia 1 presso la Città della Salute di Torino, e dal professor Andrea Calvo, anch’egli neurologo della medesima struttura, in sinergia con gli esperti del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, ha annunciato una svolta potenzialmente rivoluzionaria nel campo della diagnosi precoce.
I risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista *Nature Medicine*, aprono nuove prospettive terapeutiche e diagnostiche.
Il nucleo della scoperta risiede nell’identificazione, nel plasma sanguigno, di un profilo proteico distintivo che agisce come biomarcatore per la SLA.
Questo non si traduce semplicemente in una nuova “prova diagnostica”, ma in una finestra temporale cruciale per l’intervento terapeutico.
Per anni, la SLA è stata diagnosticata in una fase avanzata, quando i danni neurologici erano già significativi e irreversibili.
L’intervento terapeutico, in tali circostanze, si è rivelato spesso limitato e poco efficace.
La ricerca si è avvalsa di una sofisticata piattaforma proteomica, l’Olink Explore 3072, che permette l’analisi ad alta produttività di oltre 3.000 proteine circolanti con una precisione senza precedenti.
Questa tecnologia all’avanguardia ha permesso di svelare sottili variazioni nella composizione proteica del sangue di individui a rischio o in fase prodromica della malattia, prima che i sintomi clinici si manifestino in modo evidente.
“Questa scoperta rappresenta un cambio di paradigma,” afferma il professor Chiò.
“Per la prima volta, abbiamo a disposizione un potenziale strumento non solo per ottimizzare e velocizzare la diagnosi, ma, soprattutto, per intercettare la malattia in una fase molto più precoce, aprendo la strada a interventi terapeutici più tempestivi e personalizzati.
“L’importanza di questa scoperta trascende la mera identificazione di un nuovo biomarcatore.
Essa apre la strada a una comprensione più profonda dei meccanismi patogenetici della SLA.
L’analisi delle proteine alterate potrebbe rivelare percorsi biologici coinvolti nello sviluppo della malattia, offrendo nuovi bersagli per terapie innovative.
Inoltre, la possibilità di diagnosticare la SLA in fase prodromica solleva interrogativi cruciali.
Potrebbe essere possibile, ad esempio, individuare individui geneticamente predisposti alla malattia e sottoporli a interventi preventivi o a studi clinici mirati, al fine di ritardare o addirittura prevenire l’insorgenza dei sintomi.
La ricerca futura si concentrerà ora sulla validazione di questi biomarcatori in coorti di pazienti più ampie e sulla valutazione della loro capacità di predire la progressione della malattia e la risposta alle terapie.
La strada verso una cura definitiva per la SLA è ancora lunga e complessa, ma questa nuova svolta diagnostica offre una speranza concreta per i pazienti e le loro famiglie, aprendo una nuova era nella ricerca e nella gestione di questa devastante malattia.