Questa mattina, Torino è stata teatro di una vibrante manifestazione di protesta dinanzi all’imponente Museo Egizio, un gesto simbolico di solidarietà nei confronti di Mohamed Shahin, imam musulmano oggetto di un provvedimento di espulsione che ha acceso un acceso dibattito pubblico.
L’azione, orchestrata da collettivi e gruppi di individui afferenti a diverse aree dell’antagonismo sociale, in particolare con sensibilità anarchiche, ha visto la contestazione di una decisione giudiziaria percepita come un attacco ai diritti fondamentali e alla libertà religiosa.
L’immagine del museo, custode di testimonianze millenarie di una civiltà complessa e multiforme, è stata accostata alla situazione attuale di un individuo costretto a lasciare il territorio italiano, generando un forte contrasto visivo e concettuale.
Due eloquenti striscioni, appesi davanti all’ingresso, hanno condensato le ragioni della protesta: “Chi lotta per la Palestina lotta per la libertà” – un richiamo all’interconnessione delle lotte per l’emancipazione e alla causa palestinese, spesso evocata come simbolo di resistenza all’oppressione – e “Stop deportazioni, Shahin libero, liberi tutti”, un appello alla sospensione delle espulsioni e alla rivendicazione di un sistema migratorio più equo e inclusivo.
L’azione ha visto anche la distribuzione di materiale informativo, sotto forma di volantini, che ha amplificato il messaggio principale, raggiungendo un pubblico variegato, inclusi i numerosi turisti che affollano il museo.
La scelta di un luogo di alta visibilità, come il Museo Egizio, testimonia la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica e di portare la questione della deportazione di Shahin al centro del dibattito nazionale.
L’intervento della Digos, la divisione della polizia di sicurezza pubblica specializzata in contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, segnala l’importanza attribuita all’evento e la necessità di accertare le dinamiche e le responsabilità dell’azione di protesta.
Le indagini in corso mirano a identificare i partecipanti e a valutare la natura giuridica delle azioni compiute, nel rispetto delle leggi vigenti e della tutela del diritto di manifestare.
L’episodio solleva interrogativi complessi relativi all’equilibrio tra sicurezza nazionale, libertà religiosa, diritti umani e gestione dei flussi migratori, alimentando un dibattito che coinvolge istituzioni, media e società civile.






