Un corteo di luci e voci si è levato questa sera a Torino, illuminando la piazza Palazzo di Città in un gesto di solidarietà verso l’imam Mohamed Shahin, vittima di un provvedimento di espulsione disposto dal Ministero dell’Interno.
L’iniziativa, promossa dal coordinamento “Torino per Gaza”, ha visto radunarsi circa duecento persone, replicando contemporaneamente manifestazioni simili che si sono svolte in altre città italiane come Genova, Modena, Ferrara e Napoli, un chiaro segnale di preoccupazione diffusa per le implicazioni di questa vicenda.
Il messaggio, veicolato attraverso striscioni come “Free Shahin nobody deported for supporting Palestine”, era diretto e inequivocabile: l’espulsione di un leader religioso per aver espresso opinioni a sostegno del popolo palestinese solleva interrogativi profondi sulla libertà di espressione e sul diritto di critica democratica nel nostro paese.
Al microfono, gli esponenti del movimento hanno sollecitato il sindaco Stefano Lo Russo ad assumere una posizione netta e pubblica, affiggendo lo striscione di supporto all’imam sul balcone del Comune, come atto simbolico di opposizione a una decisione percepita come ingiusta e lesiva dei principi fondamentali della convivenza civile.
Attualmente, Mohamed Shahin si trova trattenuto in un Centro di Permanenza per Minori (CPR) a Caltanissetta.
La vicenda di Shahin non è semplicemente una questione amministrativa, ma pone il problema di come il dibattito pubblico possa essere soffocato attraverso l’utilizzo di strumenti legislativi che limitano la libertà di parola.
Non sono state formulate accuse formali né ipotesi di reato contro l’imam, né esistono elementi che possano ricondurlo a un’istigazione al terrorismo per le sue dichiarazioni in pubblico.
La preoccupazione esposta dai manifestanti non è solo per il destino personale di Mohamed Shahin, ma per il messaggio che questa espulsione invia alla comunità: un monito contro la critica delle politiche governative e l’espressione di posizioni considerate scomode.
L’imam, come molti cittadini, ha denunciato la drammatica situazione umanitaria in Palestina, invocando una cessazione delle violenze e una soluzione pacifica del conflitto.
La sua voce, ora silenziata attraverso un provvedimento amministrativo, risuona come un campanello d’allarme per la salvaguardia delle libertà civili e il diritto di esprimere opinioni, anche quando queste sono in disaccordo con le decisioni del potere.
La vicenda solleva interrogativi urgenti sui limiti della libertà di espressione in Italia e sulla necessità di tutelare la pluralità di voci che contribuiscono al dibattito democratico.






