Torino per Shahin: un corteo per la libertà di espressione

La città di Torino si è fatta interprete di un grido di indignazione e solidarietà, manifestando in un corteo regionale che ha attraversato il centro, da Largo Marconi fino a Piazza Castello, per rivendicare la libertà di Mohamed Shahin, imam della moschea di via Saluzzo.

La vicenda di Shahin, destinatario di un decreto di espulsione e attualmente detenuto nel Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) di Caltanissetta, ha acceso un acceso dibattito sui confini della libertà di espressione, sui diritti umani e sulle implicazioni di un’espulsione considerata da molti come una punizione per l’attivismo politico.

Lo striscione che ha guidato la marcia, “Free Shahin, nobody should be deported for supporting Palestine”, incarna la posizione dei manifestanti, che rifiutano l’idea che il supporto a una causa politica possa giustificare l’espulsione di una persona.

Il corteo, composto da centinaia di persone, ha portato con sé un potente simbolo: una bara artigianale, portata a spalle da quattro attivisti pro Palestina, su cui era impressa la parola “Libertà di espressione”.

Questo elemento scenografico ha voluto sottolineare il rischio che l’inasprimento delle misure restrittive nei confronti di chi esprime opinioni critiche possa soffocare la libertà di pensiero e il diritto di dissenso, pilastri fondamentali di una società democratica.

Gli organizzatori, “Torino per Gaza”, hanno espresso la loro preoccupazione per la situazione di Shahin, descrivendolo come un membro della comunità, un “fratello” e un “uomo innocente” ingiustamente detenuto.

Hanno sottolineato il suo lungo impegno nella promozione dei diritti palestinesi, attraverso manifestazioni e iniziative pacifiche nelle strade della città, e il suo costante sostegno agli emarginati e ai più vulnerabili.

“Mohamed ha camminato con noi per anni nelle strade di questa città per chiedere una Palestina libera,” hanno dichiarato al microfono.
La vicenda di Shahin, secondo i manifestanti, va al di là di una semplice espulsione individuale; rappresenta un campanello d’allarme per l’intera comunità.

“Tutta la città e tutto il quartiere hanno detto chiaramente che rivogliamo Mohamed, perché per noi rappresenta un pilastro e viene punito per aver scelto di non girarsi dall’altra parte,” hanno affermato, denunciando un tentativo di intimidazione nei confronti di chi si batte per la giustizia sociale.
La sua presenza nella comunità torinese, la sua dedizione e la sua integrazione profonda, sono state presentate come elementi inconfutabili che screditano la decisione di deportarlo, sollevando interrogativi sull’equità e sulla coerenza delle politiche migratorie.
Il corteo si è configurato, pertanto, come un atto di resistenza e un appello alla riaffermazione dei valori di accoglienza, tolleranza e rispetto dei diritti umani, richiamando l’attenzione su un caso che rischia di diventare un precedente pericoloso per il futuro.

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