Torino, protesta per l’imam Shahin: espulsione e contestazioni

Una folla numerosa ha espresso oggi la propria indignazione in piazza Castello, a Torino, concentrandosi sulla vicenda di Mohamed Shahin, figura di riferimento per la comunità musulmana locale.

L’imam, 46 anni, guida la moschea Omar Ibn Al Khattab in via Saluzzo e si trova attualmente nel mirino di un decreto di espulsione che ne prevede il rimpatrio immediato in Egitto, una decisione che ha generato un’ondata di proteste e sollevato interrogativi profondi sui criteri e le implicazioni delle politiche migratorie e di sicurezza.

La manifestazione, partecipata da esponenti delle istituzioni locali, ha visto la presenza di Ludovica Cioria e Dem Ahmed Abdullahi (Pd), Alice Ravinale (AVS), Sara Diena (AVS) e Valentina Sganga (M5S), a testimonianza di un ampio consenso politico contro la misura.
Gli striscioni e gli slogan lanciati dalla folla hanno espresso non solo la richiesta di liberazione di Shahin, ma anche una critica esplicita alla politica israeliana, rivelando un intreccio di preoccupazioni che vanno oltre il singolo caso.
Alice Ravinale, consigliera regionale, ha riferito di aver appreso, tramite il deputato Marco Grimaldi e un’interlocuzione con il Ministero dell’Interno, che Shahin si troverebbe attualmente in Sicilia, a Caltanissetta, e che è stata avviata un’interrogazione parlamentare per fare luce sulla vicenda.
Questa informazione, se confermata, suggerisce una gestione della situazione particolarmente complessa e opaca, sollevando dubbi sull’urgenza e la legittimità del provvedimento di espulsione.
Valentina Sganga, consigliera comunale del Movimento 5 Stelle, ha sottolineato con forza la necessità di liberare un uomo che considera un “uomo di pace”, auspicando una rapida chiarificazione degli eventi.
La sua dichiarazione si inserisce in un contesto più ampio di preoccupazione per l’impatto che decisioni come questa possono avere sulla coesione sociale e sulla percezione di equità del sistema giudiziario.
Ludovica Cioria, consigliera comunale, ha sollevato una questione cruciale, paragonando l’attuale provvedimento a casi precedenti di espulsioni contro individui vulnerabili, come Khaled Almasri, e denunciando la strumentalizzazione della paura e della securizzazione per giustificare azioni restrittive.

Il riferimento all’espulsione di Almasri, un uomo detenuto per anni in regime di clandestinità in Germania, evidenzia una critica più ampia verso le procedure e le responsabilità dello Stato nei confronti di persone in situazione di fragilità.
La sua domanda retorica – “Che segnale vuole dare?” – invita a riflettere sulle conseguenze a lungo termine di politiche che sembrano privilegiare la repressione rispetto alla promozione della pace e dell’inclusione.
La vicenda di Mohamed Shahin, quindi, si configura come un campanello d’allarme, un’occasione per interrogarsi sui limiti del potere esecutivo, sul ruolo della politica nella tutela dei diritti fondamentali e sulla responsabilità collettiva di garantire un’accoglienza dignitosa e un’integrazione efficace per tutti, indipendentemente dalla loro origine o religione.

La protesta a Torino, con la sua partecipazione politica e la sua critica esplicita, rappresenta un appello a una riflessione profonda e a un cambiamento di rotta.

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